Parola di Bankitalia: chi prende il sussidio non cerca più lavoro

Uno studio dimostra che gli ammortizzatori sociali fanno crescere i «disoccupati inattivi»

Parola di Bankitalia: chi prende il sussidio non cerca più lavoro

Resta «elevato» il numero degli italiani che hanno ricevuto sussidi statali grazie alla legge Fornero e al Jobs Act ma non si sono messi a lavorare. È questo il risultato dell'analisi fatta da uno studio di Banca d'Italia sulla recente evoluzione dell'indennità di disoccupazione nel nostro Paese.

Le riforme del sistema degli ammortizzatori sociali realizzate nel 2012 (ovvero la legge Fornero) e nel 2015 (il Jobs Act), viene ricordato nello studio firmato da Federico Giorgi della Divisione Struttura economica e Mercato del lavoro di Bankitalia, si erano poste l'obiettivo di ampliare la platea dei fruitori dei sussidi di disoccupazione, principalmente includendo nuove categorie di lavoratori e allentando i requisiti contributivi minimi. All'insorgere della crisi, infatti, il sistema italiano di ammortizzatori sociali si caratterizzava per una elevata eterogeneità interna - con garanzie di base estremamente ridotte e schemi limitati ad alcuni settori e imprese, con durate dei sussidi fortemente variabili in funzione di età, area geografica e strumenti utilizzati - e uno scarso ricorso alle politiche attive e di attivazione come contrasto ai possibili abusi.

«Per non disincentivare la ricerca attiva di impiego, il ridisegno ha anche previsto che la copertura divenisse via via meno generosa all'aumentare della durata del periodo di fruizione, accentuandone il gradiente rispetto agli strumenti precedenti», viene sottolineato. Ebbene, i dati raccolti da fonte Istat e Inps mostrano come l'obiettivo di ampliamento della copertura sia stato raggiunto, soprattutto con la riforma del 2012 e in particolare con l'eliminazione del requisito di anzianità assicurativa per l'accesso alla mini Aspi, poi confermato per il complesso dei beneficiari dalla Naspi», si legge nel documento di Bankitalia in riferimento ai diversi ammortizzatori. Aspi è l'acronimo di Assicurazione sociale per l'impiego e da gennaio 2013 aveva sostituito le indennità di disoccupazione (ordinaria, a requisiti minimi, speciale e l'indennità di mobilità), mentre la mini Aspi aveva sostituito l'indennità di disoccupazione a requisiti ridotti. Il problema, viene però aggiunto dall'autore dello studio, è che «rimane, invece, significativa la quota di percettori di sussidio che non cerca lavoro e non è disponibile a lavorare». Un «alto tasso di inattività tra i percettori» conferma, quindi, «la necessità di una maggiore integrazione tra politiche passive e attive del lavoro, resa meno agevole dal fatto che, mentre le prime sono centralizzate, le seconde sono gestite in piena autonomia - finanziaria e legislativa - dalle Regioni».

In media circa una persona su sette, fra quanti ricevono un sussidio di disoccupazione o mobilità, non risulta attivo sul mercato del lavoro. «Nonostante la crescente attenzione che nel tempo le norme hanno posto sul fatto che chi riceva un sussidio debba ricercare un lavoro ed essere pronto ad accettare lavori congrui, il quadro poco è mutato rispetto al passato», scrive ancora Bankitalia. Nel complesso dei percettori di sussidi, indipendentemente dalla fase e dalla tipologia del trattamento, il tasso di inattività nel 2016 era pari al 14,3 per cento. Nel tempo, col passaggio all'ASpI e alla NASpI, risulta sostanzialmente invariato. Non solo.

La quota di occupati sul totale dei sussidiati, che era pari a circa il 40% fino al 2008, è rapidamente diminuita negli ultimi anni attestandosi a circa il 10 per cento. A livello regionale è la Lombardia con circa 300 milioni a evidenziare il livello più alto di spesa per sussidi concessi a disoccupati non attivi.

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