Un governo di scopo, anche se non si sa bene quale. E forse è meglio così. Perché se Partito democratico e Movimento cinque stelle si metteranno veramente d'impegno a immaginare scenari economi futuri saranno guai seri per i contribuenti. L'unico minimo comun denominatore tra i pentastellati e un Pd definitivamente derenzizzato (cioè con il segretario fuori o messo ai margini) non può che essere un sistema fiscale che conserva il male che c'è e ne aggiunge altro; una politica economica tassa e spendi venduta al pubblico come giustizia sociale. Uno scenario venezuelano.
Spunterebbero fuori proposte non dichiarate nei programmi elettorali, ma che covano sotto la cenere. Facile immaginare un ritorno ai tempi di Mario Monti, cioè un ripristino di Imu e Tasi anche sulla prima casa. Mascherata come misura Robin Hood e con la benedizione della Commissione europea che anche due giorni fa è tornata a chiederci di colpire il mattone, partendo dalle «famiglie con redditi alti».
Idea «grottesca», ha denunciato il presidente di Confedilizia Giorgio Spaziani Testa. In realtà un taglia e incolla di vecchi rapporti che riaffiora a ogni sei mesi. Vero che porterebbe pochi soldi al bilancio dello stato, circa 4 miliardi di euro, ma quando ci sono misure di spesa da coprire - con M5s e Pd non potrà che essere così - tutto può servire.
Su una misura del genere il Pd senza Renzi non avrebbe problemi. Anzi, sarebbe un gesto di rottura che potrebbe facilitare il ritorno alla base di Massimo D'Alema, Pier Luigi Bersani e degli altri di Leu, da sempre a favore della tassa sulla prima casa e di un inasprimento della pressione fiscale sui redditi alti.
L'idea di essere individuati come i prosecutori del partito delle tasse non va invece a genio al M5s Tanto che ieri Danilo Toninelli, indicato come capogruppo M5S al Senato, ha spiegato che il primo atto politico del M5s sarà «un abbassamento delle tasse e certamente un intervento per abbassare la povertà».
L'intento di Toninelli è di spiegare meglio l'appello lanciato ieri da Luigi di Maio. In sintesi. Entro il 10 aprile dovrà essere approvato il Def, il documento di economia e finanza. «Sarà l'occasione per trovare le convergenze sui temi con le altre forze politiche».
Quale taglio delle tasse vorrebbe inserire nel documento il M5s non è chiaro. Comunque avrà un costo, così come lo avranno le misure contro la povertà. Peccato che dentro il Def ci sia già un costo nascosto, l'aumento di Iva e accise previsto per il 2019, che costa circa 15 miliardi all'anno.
Difficile da evitare, soprattutto se agli elettori è stato promesso il reddito di cittadinanza e misure per la povertà molto costose. Facile dedurre, sulla base dei programmi, che le proposte di un governo M5s e Pd concederebbero qualcosa sul cuneo fiscale, quindi sul costo del lavoro. Anche per le piccole imprese, a partire dal taglio dell'Irap. Poi detrazioni varie. Un accenno di reddito di cittadinanza, con tanti paletti per restringere la platea. Interventi a pioggia, pagati con un aumento dell'Iva di due punti e altre risorse tutte da trovare. Sottinteso, con nuove tasse, dichiarate o camuffate.
Il tassa e spendi è una spirale difficile da tenere sotto controllo e nel lungo termine la nuova alleanza potrebbe scatenare gli istinti tassatori.
Fantascienza? No, da giorni il solitamente compassato Carlo Cottarelli, ex commissario alla spending review si è detto preoccupato. L'idea di fare sviluppo con il deficit è sbagliata. E ci porterà ad una nuova recessione.
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