Al Lingotto renziano si manifesta una nuova alleanza: quella dei figli e dei nonni contro i padri. Padri «scappati di casa» (gli scissionisti) perché non reggevano la competizione coi figli, l'essere soppiantati, il dover andare in pensione per lasciar spazio a quelli venuti dopo. Nel gruppo dirigente Pd c'è insomma una lost generation, che non ha nulla di hemingwaiano e non ha fatto alcuna guerra, ma che ha le facce dei D'Alema e dei Bersani e non si è ancor riavuta dal crollo del Muro e dal fallimento (tardivo, peraltro) del Pci.
La generazione di quelli che non hanno retto il trauma di aver perso le chiavi della Ditta, e per ripicca se ne sono andati. Lasciandosi dietro pochi rimpianti, viste le reazioni dell'affollatissima platea della kermesse torinese, che esplode in risate e battimani quando Matteo Orfini (già figlio politico di D'Alema, oggi sostenitore di Matteo Renzi) usa il sarcasmo di stampo dalemiano contro gli scissionisti: «E' la prima volta che i padri scappano di casa lasciando i figli», dice il presidente del Pd. Che poi aggiunge: «Ringrazio piuttosto i padri dei padri, per i loro interventi appassionati qui». A chi gli fa notare che «padri dei padri» è un eufemismo per «nonni» replica: «Ma è più elegante».
Orfini pensa ai Beppe Vacca (docente di storia pugliese, presidente della Fondazione Gramsci, per lunghi anni vicino alla Ditta post Pci), ai Biagio De Giovanni (filosofo, già rettore dell'Orientale di Napoli, per lunghi anni parlamentare Pci), ai Luigi Berlinguer (che ha un cognome ingombrante e che spiega: «Io, che vengo dal Pci, mi ritrovo a casa nel Pd perché di sinistra è fare, non parlare sempre senza concludere mai nulla»). A quei grandi vecchi e maître à penser della sinistra, ormai intorno o oltre gli 80, arrivati dal Pci ma - a differenza dei rancorosi sessantenni con la stessa provenienza - oggi schierati con generosa passione (da nonni, appunto) con il giovane scavezzacollo Matteo. «È l'ultima speranza di salvezza per questo paese», ha spiegato De Giovanni tornando ad iscriversi, dopo decenni, al partito. Oltre lui, dice, «vedo l'abisso».
Un duro j'accuse alla lost generation dalemian-bersaniana arriva anche dal giovane renziano Matteo Richetti: «Avremo fatto anche qualche errore, ma non accettiamo di star fermi a guardare come qualcuno avrebbe voluto. Per la prima volta i padri hanno dilapidato il patrimonio dei figli, li hanno abbandonati per non vederli crescere, hanno lasciato il centrosinistra italiano». Quanto a Matteo Renzi, nel suo intervento finale infierisce, mettendoli in burletta, sugli scissionisti e sulla loro pretesa di incarnare la sinistra autentica: «Essere di sinistra non significa rincorrere i totem del passato. E non è di sinistra solo chi sale su un palco col pugno chiuso cantando Bandiera rossa. Non è con l'amarcord si difendono i più deboli, sono rappresentanti di una cosa che non c'è più. Questa è una macchietta, non è politica». Il riferimento implicito è a Bersani, che gira la Romagna per gli scissionisti tra una piadina e un coro nostalgico.
Per poi dare una zampata anche a Massimo D'Alema: «Sento parlare dell'Ulivo da persone che quell'Ulivo lo hanno segato dall'interno, da chi ha contribuito a chiudere anticipatamente il governo Prodi. Gente esperta di xylella molto più che di Ulivo». Padri che non sopportano di essere sconfitti dai figli: «Mentre quando noi abbiamo perso - ricorda Renzi - siamo rimasti, senza scappare e senza scinderci».
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