C'è chi, come Mario Draghi, pensa che l'aumento dello spread sia il risultato di «choc prodotti autonomamente mettendo in discussione le regole dell'Unione europea». Ogni riferimento all'Italia è puramente voluto. E c'è chi pensa, nello specifico Germania e Francia, di aver trovato il modo per imbrigliare i Paesi poco virtuosi, come il nostro, siglando un accordo sul cosiddetto budget comune. Che altro non è che un fondo per gli investimenti cui potranno attingere i Paesi con i conti in disordine. A patto però di accettare, si legge nella bozza del documento che sarà sottoposta lunedì prossimo all'Eurogruppo, «requisiti più stringenti nel coordinamento delle politiche economiche». In pratica, soldi in cambio di una perdita di sovranità, tale da impedire per esempio manovre finanziarie in violazione dei parametri europei. Le cifre del budget andrebbero ancora discusse e trattate. Il ministro francese delle Finanze, Bruno Le Maire, aveva in passato indicato la cifra di 20-25 miliardi di euro come «un buon punto di partenza». Si tratterebbe, in tal caso, di una cifra equivalente circa allo 0,2% del Pil dei 19 Paesi.
Con l'intesa, per quanto preliminare (il fondo, inoltre, dovrebbe diventare operativo non prima del 2021), Parigi e Berlino sembrano mandare un messaggio molto preciso a Roma, manifestando già da ora di non voler essere concilianti nei confronti della legge Finanziaria italiana. Con ciò aumentando le possibilità che l'Italia sia assoggettata a una procedura di infrazione dall'Ue per disavanzo eccessivo. E lo stesso presidente della Bce spiega che mirare alle fondamenta dell'Ue, con una manovra finanziaria imperniata su un deficit al 2,4% del Pil e tesa a stravolgere regole e parametri, ha dei costi da sopportare che l'Italia non può permettersi a causa dell'elevato indebitamento. Quella è la leva su cui si dovrebbe agire, abbassandola. Invece, «la mancanza di consolidamento fiscale nei Paesi ad alto debito aumenta la loro vulnerabilità», avverte il numero uno dell'Eurotower. Una nota dolente che ha fatto scattare la reazione del ministro dell'Economia, Giovanni Tria, secondo il quale i rischi per la finanza pubblica tricolore «sono limitati», «gestibile» la risalita dei rendimenti indotta dal surriscaldamento dello spread (ieri a 312 punti, due in meno di giovedì) e il debito «sostenibile e accessibile». Aggiunge il vicepremier, Luigi Di Maio: «Le preoccupazioni di Draghi sono le nostre, con questa manovra il debito calerà. Abbiamo lo stesso obiettivo che portiamo avanti con una ricetta diversa». Draghi sembra però avere un'altra opinione, quando rileva che l'incapacità di erodere la montagna del debito rischia di lasciare famiglie e imprese vulnerabili «all'aumento dei tassi d'interesse».
Quanto all'eurozona, Draghi esclude che il ciclo economico espansivo stia finendo e imputa la decelerazione in atto alle tensioni commerciali e dalla frenata della produzione in alcuni Paesi.
La Bce resta però vigile: «Se le condizioni finanziarie o di liquidità dovessero stringere indebitamente o se le prospettive di inflazione dovessero deteriorarsi», ha detto Draghi, vi potrebbe essere «un aggiustamento del percorso previsto per l'aumento dei tassi». In pratica, la stretta monetaria, finora prevista non prima dell'autunno del prossimo anno, rischia di slittare al 2020.
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