Paula, salvata dal boia ma non da se stessa

A 16 anni fu la più giovane condannata alla sedia elettrica. Dopo una vita passata in carcere non ha retto alla libertà

Paula, salvata dal boia ma non da se stessa

Questa storia ha cinque angoli, cinque scarti del destino: un delitto, una condanna a morte, un coro di voci per salvarla, la libertà e il suicidio. In mezzo ci sono trent'anni, ventotto passati in carcere. E un martedì. È la storia di Paula Cooper.

L'inizio. Paula ha quindici anni e vive a Gary, centomila abitanti sulla punta del Lago Michigan, nel ventre dell'Indiana. Qui è nato Michael Jackson, il cielo è d'acciaio, le fabbriche siderurgiche sono capannoni vuoti e si ammazza per poco. È il 14 maggio del 1985. Martedì. Dicono che Paula sia il capo di una gang femminile, lei e altre tre ragazze, tutte nere. Bussano a casa di un'anziana insegnante di religione. Si chiama Ruth Pelk. Le altre restano fuori, lei entra. Dice che vuole parlare delle sacre scritture, poi tira fuori un coltello e colpisce per 12 volte. Fruga nei cassetti, ma non trova molto: 10 dollari. Ruba la vecchia auto della professoressa e va a fare shopping con le amiche. Ruth Pelk è un corpo freddo, dissanguato.

Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno. È un pensiero che in quei giorni passa per la testa di pochi. Tra questi non c'è il giudice. La sentenza è senza via d'uscita. Sedia elettrica. Paula ha appena compiuto sedici anni. Si può condannare a morte una ragazzina? Forse no. Forse tutti hanno diritto a una seconda occasione. Paula è un caso di coscienza. Lo è per chi combatte da sempre contro il boia di Stato. Lo è ancora di più questa volta. Se ne parla in tutto il mondo. Se ne parla anche in Italia. C'è Pannella, con i Radicali, con «Nessuno tocchi Caino», c'è un appello di Giovanni Paolo II. Milioni di firme arrivano all'Onu. Bill Pelk, il nipote della vittima, si batte per la vita della ragazza: «Mia nonna l'avrebbe perdonata». Paula vive. La pena viene commutata in 60 anni di carcere. Cambia anche la legge per l'America: nessuno può essere condannato a morte per un delitto commesso prima dei 18 anni.

Paula passa i suoi giorni a Rockville, penitenziario di massima sicurezza, quattro anelli di filo spinato e le guardie sulle torrette con l'ordine di sparare per uccidere a qualsiasi detenuta si avvicini a meno di 5 metri dalla rete. Ci sono rinchiuse 1200 donne dai 18 ai 70 anni. Tra di loro non possono sfiorarsi, anche una mano nei capelli incide sulla buona condotta. Paula studia da infermiera e cucina per gli altri: «Ogni pasto è un giorno in meno di carcere». Si è convertita. È cattolica. Non pensa mai al futuro. Il tempo non ha mai sorprese. È scandito. «Rockville - dice nel 2007 a Giampaolo Pioli del Quotidiano Nazionale - mi ha salvata tenendomi occupatissima. Mi alzo alle 3,45 del mattino con una piccola sveglia digitale, ma spesso anche senza. Per le 6 ho già fatto colazione e sono al lavoro fino alle 10,30 in un laboratorio che produce uniformi per tutte le carceri americane. Mi pagano 1,75 dollari al giorno che sto mettendo da parte per quando sarò fuori. Dalle 10,30 alle 11,30 c'è il pranzo poi un'altra ora di lavoro in laboratorio. Dalle 12,30 alle 15,30 frequento un corso di computer e di contabilità. Ceniamo alle 4 del pomeriggio dopo l'appello e puliamo la mensa poi ci sono un paio d'ore libere. Io però in genere alle 9 di sera sono già a letto».

La sua pena finisce il 17 giugno 2013. Sono passati 28 anni. Può uscire perché la legge cancella un giorno di prigione per ogni giorno di buona condotta. È libera. Torna a casa. A Gary. Solo che Paula si ritrova faccia a faccia con la sua peggior paura. Ci prova. Lavora con «Journey of Hope», l'organizzazione anticrimine di Bill Pelk, il nipote della donna che ha ucciso. Ci prova a parlare agli adolescenti come lei. Paula vuole cambiare il destino della Paula quindicenne. Tutti meritano una seconda possibilità. Solo che il destino spesso è una truffa. Non ce la fa. Lo sapeva. «In carcere ti insegnano ad amministrare le tue cose, a pagare le bollette e aprire un conto in banca. Io non ho mai scritto un assegno. Sono tutte cose importantissime per imparare a sopravvivere in un mondo che non conosco e che mi fa paura».

È andata così. È andata nel modo sbagliato. Un colpo alla testa, quando la notte sta per finire e il mattino non è ancora cominciato.

Ha scelto lei di scrivere la parola fine, con la pistola alla tempia, senza sentenze e senza petizioni, con il silenzio del mondo e lo sguardo dell'America da qualche altra parte. Paula Cooper è uscita di scena. Non c'è più colpa, redenta, consumata. Ma quello che manca è l'ultimo perdono, il suo. È morta il 26 maggio 2015. Di martedì.

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