Per sfuggire alle sabbie mobili che si stanno allargando attorno al suo governo e al suo calendario, Matteo Renzi prova a dare intanto una strigliata al Pd. In Parlamento, la minoranza interna fa ostruzionismo sordo, giocando di sponda con le opposizioni, per impantanare l'Italicum e le riforme, e il premier va in Direzione per farsi dare carta bianca dal suo partito (e la ottiene, con 106 voti a favore e 2 contrari, anche se buona parte della sinistra interna non vota) su una parola d'ordine: accelerare. L'obiettivo è di mandare la legge elettorale in Aula al Senato prima di Natale, come ha annunciato il ministro Boschi in commissione, e non a gennaio come si stava decidendo, quando il probabile scrutinio per il Quirinale monopolizzerà il calendario delle Camere. Mantenendo il testo concordato, ma provando anche a coinvolgere altri voti in Parlamento: il premier, che avverte che sta nascendo «una nuova destra», quella anti-Europa di Salvini, non nasconde di guardare con attenzione a quanto sta accadendo in casa 5 Stelle: «Il Pd ha fatto saltare Grillo, che aveva scommesso tutto sulle Europee. Ora diventa possibile un percorso di coinvolgimento di quella parte dei grillini che non dipendono più dal Sacro Blog». In serata «Piazza Pulita» manda in onda una telefonata del premier al dissidente 5 Stelle Artini, ma ufficialmente Renzi mette le mani avanti: «Nessuno pensa a offrire alleanze politiche o strane coalizioni. Vogliamo solo portarli a discutere di cose concrete».
In Direzione, Renzi mette subito le carte in tavola: «È evidente che non c'è ragione per bloccare o ritardare la legge elettorale. Il presidente Berlusconi ha detto che prima vuole votare per il nuovo presidente della Repubblica. È da respingere al mittente perché c'è un accordo che vede la stragrande maggioranza delle forze politiche convinte. Il tentativo di ritardare ulteriormente sarebbe inaccettabile». Certo, Renzi evoca Berlusconi, ma il messaggio è rivolto innanzitutto ai suoi: «Voglio capire se tutto il Pd ritiene, come ritengo io, che le riforme vadano accelerate», dice chiedendo il voto interno.
E si capisce perché, man mano che il dibattito va avanti nella Direzione serale convocata al Nazareno: uno dopo l'altro, gli esponenti delle varie anime della minoranza salgono al podio per ripetere lo stesso ritornello, concordato negli intensi brain storming pre-riunione: visto che Berlusconi si tira indietro, bisogna dire che il Patto del Nazareno non c'è più e «ridiscutere» tutto l'impianto delle riforme. Un modo astuto, devono aver pensato, per bloccare gli ingranaggi. Esordisce Davide Zoggia: «Votare sull'accelerazione delle riforme come chiede Renzi? È naturale, ma l'accordo con Berlusconi regge o no? Perché altrimenti anche in Parlamento potremo apportare modifiche utili al paese». Prosegue Gianni Cuperlo: «Il Patto del Nazareno esiste ancora? Se oggi la situazione è diversa, discutiamo anche di alcune modifiche che avevamo congelato in nome di quel patto». Incalza Stefano Fassina: «Non è chiaro il contesto politico: con chi le facciamo le riforme? Possiamo votare per superare le liste bloccate, se Fi non c'è più?». Il secondo tasto su cui insiste l'ala dura della minoranza è quello dell'astensionismo in Emilia Romagna, dandone in sostanza la colpa al Jobs Act di Renzi.
Ci pensa lo stesso neo-presidente Bonaccini a ricordare che «siamo andati a votare perché è stato condannato un presidente del Pd», e che c'è nel modello emiliano (che per la prima volta viene discusso da molti nel parlamentino Pd) una stanchezza che non dipende certo da Roma. Certo, l'astensionismo è stato «impressionante», come dice Renzi, ma non va scordato che il Pd ha vinto: «Siamo passati da 24 a 30, in Consiglio regionale», sottolinea Bonaccini.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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