Il Pd vuol tassare pure i cani. Sventato un blitz sulla casa

Con la scusa della lotta al randagismo, ecco l'imposta per Fido. Dietrofront: la nuova Imi ritirata in corsa

Il Pd vuol tassare pure i cani. Sventato un blitz sulla casa

Il premier dice di non volere aumentare le imposte, ma nella sua maggioranza, soprattutto dentro il suo partito, c'è una foga tassatrice che non risparmia nessuno. Ci hanno provato lunedì con il mattone, infilando in un emendamento alla legge di Bilancio un aumento delle imposte che gravano sulla seconda casa. Ieri è toccato pure ai cani.

Una proposta di modifica della «finanziaria» annunciata dai firmatari prevede che i proprietari dei cani non sterilizzati paghino una tassa comunale annuale, istituita dai sindaci che devono anche prevedere esenzioni specifiche.

Non si conosce l'importo, ma si sa che evitarla - se passerà l'emendamento - sarà difficilissimo. Per l'esenzione bisogna presentare «certificazione di sterilizzazione chirurgica definitiva» rilasciata da medici veterinari. Poi il padrone del cane dovrà «accedere all'anagrafe regionale degli animali d'affezione» e provvedere alla registrazione della sterilizzazione dell'animale. Sono esenti gli allevamenti professionali. Altre esenzioni, i cani per ciechi e quelli pastori, quelli delle forze armate e delle forze dell'ordine.

Il senso dell'emendamento l'ha specificato uno degli autori, l'esponente democratico Michele Anzaldi. «Il randagismo rappresenta un problema sentito dal punto di vista etico ed è anche una questione di carattere economico. Secondo una proiezione dai dati ufficiali esistenti, la gestione dei 750mila cani randagi in Italia costa alle casse pubbliche circa 5,25 miliardi all'anno». L'intento è nobile, come spesso succede per le tasse più odiate. Il sospetto è che gli amministratori locali, leggi i sindaci del Pd, stiano intervenendo pesantemente sui parlamentari per avere la possibilità di nuove tasse e compensare i tagli ai bilanci e, forse, finanziare le assunzioni extra che la legge di Bilancio concede.

Lunedì era spuntato un blitz delle lobby pro tasse locali. L'emendamento firmato dal Pd e ammesso alla commissione Bilancio che istituiva l'Imi, imposta sugli immobili che unisce Tasi e Imu, nascondeva un aumento delle imposte locali. All'apparenza una operazione di maquillage, ma si trattava in realtà un tana libera tutti concesso ai sindaci con tentazioni di tassare. Gioco scoperto dal presidente di Confedilizia Giorgio Spaziani Testa e poi dallo stesso partito che lo ha presentato. Risultato, ieri sera la proposta è stata ritirata.

Tutti i sindaci avrebbero potuto aumentare l'aliquota all'11,4 per mille, un «privilegio» oggi riservato ai comuni che negli anni passati avevano usufruito della possibiltà di aggiungere uno 0,8 per mille all'aliquota Tasi del 10,6 per mille. Un'eccezione temporanea che il governo ha confermato (si legga il Giornale del 2 ottobre), con la legge di bilancio di fatto aumentando la pressione fiscale sulla casa.

Questa partita i sindaci tassatori l'hanno vinta. Agli altri è andata male.

Sempre che non rispunti un altro emendamento pro tasse.

Ieri la commissione Bilancio presieduta da Francesco Boccia ha proseguito con lo sfoltimento degli emendamenti (1.500 inammissibili). Sul decreto fiscale collegato alla manovra il governo ha posto la fiducia.

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