Il piano "Abbracciamo un jihadista". Così l'Europa dà casa e lavoro ai killer

Mentre chi combatte l'Isis viene indagato, per i combattenti ci sono strategie di recupero e reinserimento. Costosi e suicidi

Il piano "Abbracciamo un jihadista". Così l'Europa dà casa e lavoro ai killer

Un tempo temevamo i terroristi in arrivo con i barconi. Acqua passata. Ora anche quella paura è superata. Anche perché loro sono già arrivati. Anzi stanno semplicemente tornando. E lo fanno sotto i nostri occhi, sfruttando la stessa indifferenza e compiacenza che dal 2012 in poi permise a cinquemila di loro di raggiungere Siria ed Iraq. Per capire la facilità con cui i jihadisti europei stanno rientrando nei loro Paesi - e la superficialità con cui i governi assistono al fenomeno - basta dare un occhiata a quanto avviene in Danimarca, Gran Bretagna, Belgio e Germania. In Danimarca, dove l'Isis contava su 150 volontari, i veterani del terrore s'avvalgono oggi dell'indulgente e compassionevole assistenza di un governo pronto a trattarli alla stregua di cittadini disagiati. L'icona della tolleranza garantita a chi sognava di piegare l'Europa all'Islam è il programma di de-radicalizzazione battezzato «Abbraccia un jihadista». A dar retta alle autorità di polizia di Copenaghen, incaricate di gestire il progetto «aiutare i giovani estremisti è il modo migliore per mantenere la pace» mentre «trattarli duramente o con sospetto» li renderebbe «più pericolosi per la società». Così - mentre la 23enne studentessa danese Joanna Palani viene indagata per aver combattuto contro l'Isis al fianco dei curdi - lo stato spende centinaia di migliaia di euro per garantire a ciascun «pentito» dell'Isis case, posti di lavoro e assistenza sociale e psicologica. «Hanno persino diritto a cure mediche e psicologiche gratuite» sottolinea un rapporto pubblicato nel giugno 2017 dal Center for Security Studies (CSS) di Zurigo. In Belgio, dove i terroristi hanno pianificato le stragi di Parigi e Bruxelles sfruttando le complicità del quartiere di Moleenbeck nel cuore della capitale, nulla sembra cambiato. Mentre un centinaio dei 700 jihadisti partiti per Siria e Iraq sono rientrati a Bruxelles le sue 19 municipalità continuano a far i conti con la babele di leggi e regolamenti che paralizzano sei diverse forze di polizia. Eppure la minaccia è più presente che mai. «Capiremo quanto è forte la loro influenza - avverte il ricercatore Pieter van Ostaeyen, uno dei più attenti studiosi del fenomeno jihadista belga - solo quando faremo i conti con il prossimo attacco». In Germania - dove è già rientrato un centinaio dei 950 jihadisti partiti per Siria e Iraq - la situazione non è meno allarmante. A preoccupare Hans-Georg Maassen - capo della Bfv, l'agenzia di sicurezza interna - è il ritorno delle mogli dei jihadisti accompagnate da un centinaio di bambini cresciuti ed educati nelle zone controllate dallo Stato Islamico. «Rischiamo di far i conti con una nuova generazione di jihadisti allevati qui» sottolinea Maassen ricordando come almeno tre dei cinque attacchi terroristici del 2016 siano stati compiuti da minori e come un ragazzino di soli 12 anni abbia tentato di piazzare una bomba nel mercatino di Natale di Ludwigshafen.

Ma se Berlino piange Londra di certo non ride. A dar retta al ministro della sicurezza Ben Wallace almeno metà degli 850 volontari del jihad inglese è di nuovo in Gran Bretagna. Ma come ammette sconsolato lo stesso Wallacce «non sappiamo dove siano e cosa stiano facendo». In compenso anche a Londa chi accetta di venire allo scoperto può contare sul premuroso e disinteressato sostegno dello Stato.

Grazie al programma di de-radicalizzazione battezzato «Operation Constrain» (Operazione Vincolo) gli ex terroristi possono contare su forme di assistenza sociale e su posizioni di favore nelle liste per l'assegnazione di abitazioni pagate dallo Stato. E chi è ancora traumatizzato per gli orrori commessi può persino richiedere il sostegno di uno psicologo. Ovviamente pagato con i soldi di quei contribuenti che i jihadisti avrebbero volentieri decapitato.

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