Roma «Il referendum? Voterò sì, ma non perché lo dice Renzi. È una scelta di coscienza, ho i miei riferimenti come tutti... Ad esempio sulle trivelle ho ascoltato Prodi». La fotografia del momento di difficoltà del premier sta tutto nella prudente e circospetta risposta di Giuseppe Sala a chi gli chiede un parere sul quesito che a ottobre deciderà le sorti non solo della riforma costituzionale ma pure del governo e del presidente del Consiglio. E il fatto che il candidato sindaco di Milano fortemente voluto proprio da Matteo Renzi - scelga volutamente di non cavalcare lancia in resta la battaglia referendaria, la dice lunga sullo stato dell'arte. E lascia pensare che il timore che il leader del Pd stia iniziando a perdere il suo tocco da Re Mida cominci a serpeggiare anche tra chi è in prima linea con lui.
D'altra parte, nell'entourage più ristretto di Renzi c'è chi inizia a ragionare su una sorta di piano B, consigliando al premier un approccio meno personalistico. Lo ha già fatto pubblicamente Giorgio Napolitano, uno dei più grandi sponsor del giovane rottamatore fiorentino. E adesso il dubbio che il muro contro muro possa essere un boomerang si sta affacciando anche nel cosiddetto giglio magico. Così, ovviamente con molto tatto, c'è chi ha buttato lì con Renzi che forse bisognerebbe «puntare sui contenuti della riforma costituzionale» piuttosto che su un plebiscito pro o contro il premier. Insomma, giocare sulla riduzione del numero dei parlamentari e sulla chiusura del Senato, due argomenti populisti al punto giusto. Ma il leader del Pd, che ama puntare forte e per giunta con la grancassa, per ora avrebbe fatto orecchie da mercante, lasciandosi scivolare addosso una proposta che un mese fa avrebbe considerato irricevibile.
Chi lo conosce bene assicura che alla fine non si farà persuadere. E lo dice con un pizzico di preoccupazione, perché lo scontro con la magistratura e il possibile flop alle amministrative potrebbero dare due duri colpi in vista della campagna referendaria. La strada, insomma, rischia d'essere impervia. Persino più di quanto lo sia stata in queste settimane, nelle quali Renzi ha subito una decisa flessione dei consensi. Secondo l'istituto Ixè, per dire, nell'ultima settimana avrebbe perso un altro punto e a oggi la fiducia che raccoglie sarebbe solo al 28%, esattamente la stessa del grillino Luigi Di Maio.
Al voto, va detto, mancano ancora sei mesi e c'è dunque il tempo per qualunque tipo di «rovescio». Se il trend però continuerà, la partita rischia di farsi più che difficile. Anche perché sul referendum Renzi ha scommesso tutto, al punto che ancora tre giorni fa durante il #matteorisponde ha ribadito che in caso di sconfitta del «sì» andrà «a casa».
Per dirla con il titolo che campeggiava ieri sul britannico Financial Times, sul referendum Renzi «mette in gioco il suo futuro». Perché quella di ottobre rappresenta «la più grande scommessa politica della sua leadership».
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