Schiaffeggiare la fidanzata? Una volta sola si può. Lo mette nero su bianco la Cassazione: un ceffone all'amata non è punibile. Troppo poco un manrovescio per finire in carcere. E pazienza se le donne (ed i maschietti con un briciolo di buon senso) non saranno d'accordo: mani legate e forse più d'un ripensamento anche per quante tra loro in Parlamento avevano votato la delega sulla quale è stata poi costruita la mirabile riforma del governo Renzi. Quella che, varata per tenere sgombre le carceri, svela ora i suoi effetti distorti.
Fatti e misfatti ruotano attorno al decreto legislativo con cui, nel marzo del 2015, Palazzo Chigi ha introdotto la «non punibilità per particolare tenuità dell'offesa». Una mossa pensata per sgravare il sistema giudiziario da procedimenti ritenuti inutili, in cambio dell'impunità agli autori di reati sanzionati con pena detentiva non superiore ai 5 anni. A Tribunali e Corti non è rimasto che adeguarsi. Con risultati spesso sorprendenti. In qualche caso paradossali. Ad esempio: in nome della particolare tenuità a maggio gli ermellini avevano stabilito che rubare per fame non è sanzionabile purchè poco per volta, giusto per sfamarsi. Qualche settimana più tardi titoloni per il Tribunale penale di Roma, artefice dell'equiparazione giuridica tra animali d'affezione e scatolette di tonno: non merita il carcere chi rapisca il gatto dei vicini, dato lo scarso valore venale del felino. Agli inizi di luglio altri magistrati, stavolta a Ravenna, hanno invece sancito che guidare ubriachi per aver bevuto alcol tre volte oltre i limiti consentiti non è cosa da punire penalmente: per sfangarla basta porsi al volante in strade deserte senza causare danni. Ma non bastava. E adesso la Suprema Corte cala il poker. Con una sentenza destinata a far discutere i paladini dei diritti civili, i teorici del romanticismo e gli amanti disseminati tra Alpi e Pelagie.
All'attenzione dei giudici della Quinta Sezione era arrivato, a metà giugno, il caso di una coppia residente in provincia di Catanzaro: nel 2008, al culmine di una lite, lui aveva stampato una cinquina sul volto della compagna, minacciandola con un coltello. Denunciato e processato, s'era beccato due mesi di reclusione per violenza privata, anche se le attenuanti generiche gli erano valse il venir meno dell'aggravante legata all'uso dell'arma bianca. In secondo grado la pronuncia era stata confermata, ma una volta approdato al vaglio della Cassazione, complice l'entrata in vigore del famigerato decreto legislativo, il verdetto è stato ribaltato. A pesare sulla decisione - si legge nelle motivazioni depositate il giorno di san Lorenzo - non tanto il rifiorire della passione tra i due protagonisti della vicenda, oggi sposati, quanto «l'occasionalità dell'episodio» e, ça va sans dire, «il danno particolarmente esiguo». Questione rilevante ed essenziale, dal momento che «sotto il profilo del diritto sostanziale si è in presenza di un'innovazione che disciplina l'esclusione della punibilità e reca una disciplina più favorevole all'imputato, applicabile anche retroattivamente».
Per cui fascicolo rinviato ad una diversa sezione della Corte d'Appello, chiamata a determinarsi dando rigorosa attuazione all'orientamento espresso dagli inquilini del Palazzaccio. E così caso chiuso per i fidanzatini terribili di Catanzaro, faccia perduta per l'Italia. Il Paese dei femminicidi, in cui se tiri una sberla ad una donna puoi spacciarti per innamorato pazzo e farla franca.
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