L'applicazione dal primo gennaio delle nuove norme sul cosiddetto bail in, decise dall'Europa, con tutti i rischi potenziali per i clienti delle banche in crisi che ancora non conoscevano le novità in arrivo, avrebbe fatto crollare la fiducia dei risparmiatori che avrebbero perso dei soldi senza preavviso e si sarebbero precipitati in filiale. Per non parlare dei depositi delle aziende, che si sarebbero trovate all'improvviso senza liquidità. Senza pensare al disastroso impatto sui consumi. Di fronte a questo scenario apocalittico le banche «sane» hanno messo mano al portafoglio e sganciato 3,6 miliardi per lanciare un paracadute alle quattro piccole banche salvate con il decreto del governo Renzi ma, appunto, con i soldi di tutti gli altri istituti. Il prezzo che dovrà pagare l'intero sistema bancario però rischia di diventare ancora più alto. In circolazione c'è una massa di oltre 60 miliardi di obbligazioni subordinate emesse dalla banche italiane, più o meno redditizie, nelle mani di piccoli e piccolissimi risparmiatori o di grandi investitori, scambiabili o meno sul mercato. In un elenco stilato dagli analisti indipendenti di Consultique, fra le circa 370 emissioni la parte del leone per decine di miliardi la fanno i big con rischio basso o quasi nullo. Ieri l'ad di Intesa, Carlo Messina, ha inoltre ricordato che la banca «da cinque anni non colloca subordinati alla clientela retail» e che comunque presso il retail ha meno dello 0,5% di subordinati. Ma il panico è già scattato e nelle ultime settimane migliaia di clienti hanno chiamato preoccupati la banca di riferimento, chiedendo di vendere i bond bancari in proprio possesso. Dopo il bank run del 2007 (la corsa agli sportelli per ritirare i soldi e chiudere i conti correnti che mostrò lunghe file davanti alle filiali della britannica Northern Rock), in Italia è cominciato il «bond run» degli investitori cosiddetti retail. Tra il 20 novembre, ultima seduta prima del decreto «salva banche», e il 9 dicembre le 79 subordinate bancarie italiane trattate sull'EuroTlx avevano segnato un calo medio dei prezzi di chiusura del 2,28 per cento. I bond più sotto pressione sono quelli di istituti come Veneto Banca, Popolare di Vicenza (il subordinato 4,6% scadenza 15 dicembre 2017 ha fatto registrare il crollo peggiore), Monte dei Paschi e Carige. Con un contagio ai «sub» delle banche più robuste. Guardando l'andamento dei titoli sui terminali Bloomberg, quelli usati dai broker nelle sale operative di Borsa, il crollo è lampante. E unito alla scarsa domanda da parte di investitori istituzionali, fa sì che i prezzi scendano. Chi vende oggi non trova compratori e, dunque, perde. Per questo il consiglio degli esperti è non farsi prendere dall'ansia e aspettare che la bufera sia passata. Nel frattempo, il consiglio è verificare se la propria banca ha venduto queste obbligazioni seguendo tutte le regole di condotta che gli intermediari finanziari sono obbligati a rispettare, chiedendo copia dell'ordine di acquisto insieme al contratto quadro di negoziazione dei titoli con tutti gli allegati, fra i quali il profilo di rischio. Quanto al sistema creditizio, resta da capire se e come impatterà la fuga dalle subordinate sui conti futuri. Il rischio è di veder decollare il costo della raccolta. Quello che in gergo tecnico-finanziario si chiama «funding». Da gennaio, infatti, con l'introduzione delle nuove norme sul bail in, dovranno rivedere il loro approccio alla rischiosità di questi strumenti finanziari. Lo scriveva l'Abi, l'associazione dei banchieri, nel suo rapporto di previsione pubblicato a dicembre 2013. Ebbene, già al tempo si spiegava che all'aumentato rischio corrisponderanno cedole più elevate, e inoltre un aggravio ulteriore di costo aggiuntivo a seconda della solidità delle diverse banche emittenti. E la raccolta potrebbe diminuire se passerà la legge invocata tardivamente dal direttore generale di Bankitalia, Salvatore Rossi, di vietare la vendita dei bond subordinati ai piccoli risparmiatori (che in Italia rappresentano i maggiori sottoscrittori di titoli). Ben gli sta, potrebbe rispondere il cliente tradito e avvelenato dal «mal di banca».
Il problema è che se anche le big del credito cominciano ad accusare il colpo dell'operazione di sistema dovranno trovare un modo per recuperare liquidità laddove è stata persa. E dunque alzare i prezzi dei servizi offerti oppure stringere nuovamente i cordoni dei prestiti. Insomma, il governo pare essere riuscito in un colpo solo a far perdere tutti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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