I n politica, diceva Montanelli, bisogna sapersi turare il naso. A spiegarlo a Matteo Salvini ci sta pensando l'«amico» Viktor Orbán. Pur sospeso da quel Ppe che ha candidato Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione Orbán non ha esitato a votarla e, giorni fa, ad accoglierla con entusiasmo a Budapest. Dopo quella visita la von der Leyen si è impegnata a garantire al premier «una nuova ripartenza e soluzioni pragmatiche sui migranti» mentre Orbán ha rivendicato la promessa di ampi finanziamenti europei per raggiungere gli standard ambientali pretesi dal presidente della Commissione. Orbán insomma ha fatto bingo. Da paria dell'Unione e «uomo nero» di un'Ungheria a cui l'Europarlamento voleva negare il voto, si è trasformato nell'ago della bilancia capace di garantire i flebili assetti politici della Commissione e della sua presidente. Una mossa con cui potrà tornare a incassare quei finanziamenti europei indispensabili per garantirsi i consensi di una maggioranza ben felice di votare la sua democrazia «illiberale». Orbán si dimostra, insomma, un abile calcolatore capace non solo di turarsi il naso e incassare, ma anche di dimenticare chi, come Salvini, contava su di lui per fondare un solido fronte sovranista.
Le mosse dell'«amico», o presunto tale, dovrebbero servire da lezione a un Salvini che ieri ha osservato dall'«ufficio balneare» di Milano Marittima l'incontro di Ursula von der Leyen con il premier Giuseppe Conte. Anche perché al termine di quell'incontro la presidente della Commissione ha proposto «un nuovo patto per le migrazioni e l'asilo» e si è detta convinta della necessità di «rivedere il concetto di suddivisione e ripartizione dell'onere». È vero, le parole dei leader europei valgono meno delle promesse dei marinai, ma in quelle parole c'è l'impegno a cambiare un trattato di Dublino che scarica sui Paesi di primo arrivo, come l'Italia, tutto il peso dei migranti. Salvini, un anno fa, pur di stare dalla parte di Orbán diede un calcio alle proposte dell'Unione per cambiare quel Trattato. Dietro quel no si celava l'illusione di dar vita a un fronte comune con Austria, paesi di Visegrad e magari la Germania, per creare degli hotspot in Africa e bloccare lì i migranti. Ma alla fine le posizioni reali di Germania, Austria e Orbán si son dimostrate ben lontane da quanto auspicato dal leader della Lega. E l'unica a restare con il cerino in mano è stata l'Italia.
A questo punto rivedere Dublino, stringendo la mano tesa dalla von der Leyen, è il primo passo da fare per non restare ulteriormente isolati e diventare veramente il campo profughi della Ue. Anche perché rifiutando la trattativa Salvini rischia e lo dimostra l'elezione di David Sassoli alla presidenza dell'Europarlamento - di ritrovarsi in Commissione un rappresentante italiano ben lontano dalle sue posizioni politiche. Quindi un commissario non solo inutile, ma, dal suo punto di vista, pure dannoso. Invece scegliere un proprio uomo per cui pretendere una vice presidenza della Commissione praticamente obbligatoria per un'Italia terzo contribuente europeo, significa poter far sentire il proprio peso senza allinearsi ai diktat della maggioranza europea. L'alternativa è ridursi al ruolo di Paese reietto per cinque lunghi anni. Un ruolo che l'«amico» Orbán si è ben guardato dall'evitare alla sua Ungheria. Salvini deve fare lo stesso per l'Italia.
Perché tuonare e vociare contro Bruxelles può servire a crescere nei sondaggi. Ma avere dietro la teorica maggioranza degli italiani è inutile se poi il resto del mondo e dell'Europa è pronto a tutto pur di non farti governare.
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