«Meglio atei che cristiani ipocriti» è il titolo corrente per il primo discorso di Papa Francesco nel 2019, forse pronunciato per non darci tregua nemmeno durante le vacanze di Natale. Si potrebbe come al solito dare la colpa ai giornalisti, grossolani e frettolosi, e dire che la catechesi del Santo Padre, stavolta centrata sul Padre Nostro, è stata molto più articolata. Vero: nell'Aula Paolo VI non sono mancate espressioni più sfumate. Ma anche falso: sono andato a leggermi il discorso completo, sull'ufficialissimo sito del Vaticano, ed effettivamente contiene un passaggio così sintetizzabile. Eccolo: «Quante volte noi vediamo lo scandalo di quelle persone che vanno in chiesa e stanno lì tutta la giornata o vanno tutti i giorni e poi vivono odiando gli altri o parlando male della gente. Questo è uno scandalo! Meglio non andare in chiesa: vivi così, come fossi ateo». Si capisce che il Papa sta parlando a braccio, e pure questo fa parte del suo non darci mai tregua: come tutti vivo in una valle di lacrime e in più, come cattolico, mi tocca il pontificato di chi è solito parlare a braccio. Che può far rima con casaccio. «Meglio non andare in chiesa» è un'affermazione pericolosa, le chiese sono già disertate abbastanza, speriamo non lo prendano in parola. Chesterton, un maestro di realismo cristiano, scrive che «se vale la pena fare una cosa, vale la pena di farla male». Bergoglio, che almeno nell'estrapolazione risulta un maestro di cristiano utopismo, prefigura chiese frequentate esclusivamente da persone che non odiano e non sparlano, e dunque chiese deserte. Siamo tutti più o meno ipocriti e se non ci rassegnassimo a fare male le cose buone (ad esempio andare a messa la domenica) faremmo soltanto quelle cattive. Meglio ipocrita che ateo: se non fossi credente non crederei nemmeno nell'esistenza del peccato, non avrei più nemmeno il freno del rimorso. Secondo me esiste anche un problema lessicale: non ci sono più gli ipocriti di una volta, l'ipocrisia non è più quella dei tempi del Vangelo. Duemila anni fa Cristo identificava gli ipocriti con chi ostentava devozione per ottenere vantaggi sociali. Oggi il Vicario di Cristo insiste con questa definizione senza tenere conto che, in una società secolarizzata come la nostra, ostentare devozione garantisce semmai compatimento, risolini. Anziché «ipocrita» bisognerebbe dire «incoerente»: ebbene sì, sono incoerente, le mie azioni spesso non coincidono con le mie dichiarazioni, faccio quello che posso e posso abbastanza poco.
Un po' come (si parva licet) San Pietro che promise a Gesù fedeltà fino alla morte e poi, quando buttava male, fece finta di non conoscerlo nemmeno. O come San Paolo che scrisse: «In me c'è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo». Fossero vivi, anche Pietro e Paolo rischierebbero gli strali di Jorge Mario.
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