di Il governo sapeva, fin da febbraio, che Giovanni Lo Porto poteva essere stato ucciso per sbaglio da un drone americano. Nessuna certezza, ma la Cia aveva informato i servizi italiani della concreta possibilità. Lo ha rivelato ieri durante l'audizione del Copasir, il Comitato parlamentare di controllo, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Marco Menniti. Alla domanda di uno dei membri fino a che livello è arrivata l'informazione della Cia, l'esponente Pd ha risposto: «Al mio livello si è fermata». In pratica un parafulmine per il presidente del Consiglio Matteo Renzi, che ha sempre negato di essere al corrente prima del 22 aprile. Non solo: il rapporto con la certezza che Lo Porto sia stato ucciso assieme all'altro ostaggio americano sarebbe arrivato sul tavolo del presidente Barack Obama il 20 aprile. Il 21 gli americani hanno trasmesso la notizia in via confidenziale agli italiani e il 22 c'è stata la telefonata dell'inquilino della Casa Bianca con Renzi.
Una fonte attendibile de il Giornale conferma che l'esposizione di Minniti al Copasir è stata «completa, esaustiva con molti aspetti altamente classificati e ha tracciato tutti e tre gli anni del sequestro». Se cominciamo dalla fine, con il bombardamento che ha ucciso gli ostaggi del 15 gennaio, è saltato fuori che nello stesso periodo i droni avevano lanciato 400 attacchi. Il capo delle operazioni, che dava la luce verde, si chiama Michael D'Andrea, un convertito all'Islam con il cognome, ironia della sorte, di origine italiana. Un mese fa la Cia lo ha passato ad altro incarico.
Lo stesso ostaggio tedesco, Bernd Muehlenbeck, rapito con Lo Porto il 19 gennaio 2012 e liberato lo scorso ottobre era scampato, come lui stesso ha raccontato, ad un attacco dei droni salvandosi per miracolo.
«Non è stata fatta alcuna prova del Dna, ma ormai non ci sono dubbi che l'ostaggio italiano è rimasto ucciso. L'impegno di tutti è di riportare il corpo a casa» spiega la fonte de il Giornale . L'identificazione è avvenuta grazie alla sorveglianza di droni e satelliti, ma soprattutto attraverso testimoni che hanno assistito al funerale e alla sepoltura dei terroristi uccisi e delle due vittime innocenti. Lo Porto sarebbe stato tenuto prigioniero in un tunnel andato distrutto e per questo non è stato visto dai droni prima dell'attacco.
«Da quanto detto nel corso dell'audizione è emersa una sostanziale correttezza nella gestione della ricerca e della individuazione di strade atte a riportare a casa Giovanni, più di una volta in questi tre anni si è pensato di essere vicini ad una soluzione positiva dell'evento» ha dichiarato il vicepresidente del Copasir, Giuseppe Esposito, senatore di Area Popolare (Ncd-Udc).
L'Fbi aveva informato in febbraio la famiglia dell'ostaggio americano che potrebbe essere morto, forse per fare uno mezzo sgambetto alla Cia. «Da quel momento tutti sapevano tutto, ma c'è voluto tempo per la certezza definitiva» sottolinea la fonte.
Minniti ha ripercorso passo per passo i tre anni di prigionia di Lo Porto e si è portato dietro i tre video dell'ostaggio girati dai sequestratori. «Questa vicenda, fin dall'inizio, ha avuto uno strano destino - osserva la fonte - Più volte si era vicino a chiudere, alla liberazione, ma mediatori o capi del gruppo che lo teneva prigioniero si volatilizzavano o rimanevano uccisi nel conflitto o dai bombardamenti». Da Multan, nel Pakistan centrale, dove è stato rapito il cooperante siciliano poi ceduto al gruppo legato ad Al Qaida, al Waziristan dove lo hanno trasferito. Una regione tribale diventata zona di guerra e roccaforte dei talebani fra il Pakistan e l'Afghanistan.
«I nostri servizi hanno fatto tutto quello che potevano per arrivare alla liberazione di Lo Porto. Possiamo escludere che ci siano state trascuratezza e negligenza» ha dichiarato il senatore Vito Crimi (M5s). Angelo Tofalo, Vito Crimi e Bruno Marton, grillini del Copasir sostengono, però, che «si deve pretendere il rispetto della sovranità di uno Stato, avere tutte le informazioni relative a responsabilità individuali o politiche per le scelte statunitensi».
Nel Waziristan i negoziati sul terreno andavano avanti a singhiozzo fra le offensive terrestri pachistane ed i bombardamenti dei droni dal cielo.
«Dopo il rilascio del tedesco a Kabul, lo scorso ottobre, è arrivato il terzo video, che serviva a far ripartire la trattativa» spiega la fonte riferendosi all'audizione di Minniti al Copasir. In Italia era attesa la liberazione, ma il mediatore è stato impossibilitato a continuare il negoziato.
I membri del Copasir premono che pure questo genere di dettagli, che coinvolgono informazioni segrete di altri paesi, venga reso pubblico. La fonte de il Giornale dopo l'audizione di Minniti osserva: «Dato che avevamo una trattativa in corso forse l'errore è che non ci siamo fatti valere per portarla fino in fondo».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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