Cambiare verso anche alla storica liaison tra sinistra e magistratura? È forse questa la rottamazione più complicata per il premier-segretario Pd. Il terreno è molto scivoloso, minato, occorre prudenza, e finora, nel rapporto con i giudici (a differenza di altre corporazioni, e a differenza di tutti gli altri dipendenti pubblici), Matteo Renzi ne ha avuta parecchia. Le prime scintille, però, si sono accese con la bozza di riforma della giustizia, il taglio delle ferie e soprattutto il nodo della responsabilità civile dei magistrati, un vecchio punto del programma di Renzi fin dalla Leopolda («L'ex ad di Fastweb Silvio Scaglia è stato assolto, peccato che nel frattempo abbia scontato un anno di carcerazione preventiva! Se un magistrato sbaglia deve essere chiamato a rispondere!»), tema su cui il premier non sembra intenzionato ad arretrare nonostante le barricate dell'Anm. Ma a far cambiare radicalmente il clima finora sereno-variabile tra Renzi e le toghe, potrebbe essere l'inchiesta sui renzianissimi candidati alle primarie in Emilia Romagna, Richetti e Bonaccini. Non una regione a caso per il Pd, e non un momento a caso, proprio sotto le elezioni di «midterm» (le regionali 2015) per Renzi. Finora il premier ha glissato le domande sugli indagati e l'eventuale passo indietro. Indizio, il suo silenzio, che fa riflettere, insieme ad un altro: Bonaccini non si è ritirato, e insieme al partito locale difende la sua scelta. Difficile che lo faccia senza il consenso del segretario. Segno che è cambiato verso con le toghe? Gli spifferi che escono dal quartier generale Pd rimandano un refrain mai sentito da quelle parti: «giustizia a orologeria». E il quotidiano di partito Europa , vicinissimo a Renzi (da lì viene il portavoce-factotum del segretario, l'ex vicedirettore Filippo Sensi) è uscito con un editoriale (titolo «Una Regione governata dalle procure») che la dice lunga: «Politici e amministratori sono esposti alla discrezionalità spinta dei magistrati - si legge -. I quali sono dichiaratamente sul piede di guerra contro il governo non per questioni di alta politica bensì in difesa di livelli di stipendio e durata delle ferie».
Appunto, la guerra tra governo e Associazione nazionale magistrati. Il tempismo dell'indagine bolognese, vista come una vendetta per la riforma che i magistrati vogliono mandare al macero, ha destato molti sospetti dentro il Pd. E il tono con cui Renzi ha risposto ai rilievi dell'Anm si aggiunge agli altri pezzi del puzzle che disegnano un cambiamento in corso nei rapporti sinistra-toghe. «L'Anm insorge? Brrr.... che paura... - ha detto a Porta a porta - . Certo che vado avanti, l'Anm ha fatto il primo comunicato stampa contro il governo quando ho detto che si metteva lo stipendio massimo dei magistrati a 240mila euro...La responsabilità civile dei magistrati è un tema di giustizia e la facciamo». Toni «irriverenti» che destano «amarezza» dice Paolo Auriemma membro del Csm ed esponente di Unicost, la corrente moderata dell'Anm. Per testare la distanza basta pensare che l'Anm dettò letteralmente al Pd - lo raccontò l'ex ministro Fioroni - il presidente della Commissione Giustizia della Camera, poi andato, come da richieste, alla deputata piddina e magistrato Donatella Ferranti.
Cambia verso anche la toga? O la battaglia contro i privilegi dei magistrati va catalogata tra le trovate di marketing renziano, ottime per restare alto nei sondaggi personali? Certo, il segretario-premier ha modulato garantismo e giustizialismo con dosi diverse, a seconda dell'interessato. Gli indagati a lui devoti, come il renziano Davide Faraone in Sicilia (peculato) o il neo-renziano Errani, restati al loro posto, mentre gli altri nei guai con la giustizia (dal sindaco Orsoni ai piddini Barracciu e Genovese, per non parlare di Galan) tutti scaricati per non prestare il fianco al M5S.
E sempre Renzi voleva nel suo governo, alla Giustizia, un magistrato (Gratteri). Ma il verso sembra cambiato. Anche perché certi rumors parlano di avvisi di garanzia in arrivo a uomini molto, ma molto vicini al segretario in camicia bianca.
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