Vento e neve. Il cielo è chiuso. A Potenza, nella sede del Cestrim (Centro studi e ricerche sulle realtà meridionali) incontriamo don Marcello Cozzi, 53 anni, un prete di strada abituato a percorsi accidentati. Tratturi contorti che però non lo spaventano, anzi lo esaltano. Come uomo in sé, ancor prima che come uomo di Dio.
Don Marcello è il prototipo del sacerdote «impegnato». Ma che stia in chiesa e si limiti a fare il prete!», dicono i detrattori; replicano gli estimatori: «Per lui fare il prete significa vivere Gesù a 360 gradi». Una rotazione attorno l'asse sociale e religioso che negli anni ha portato don Marcello a contatto con boss e killer che hanno chiesto il suo aiuto per intraprendere un percorso di redenzione.
Obiettivo: guardarsi allo specchio, e scoprire un frammento del riflesso di Cristo.
Chi ha incontrato dietro le sbarre?
«Il volto di Caino».
Caino incatenato al 41 bis, il carcere duro.
«Un regime di isolamento totale che può farti impazzire, ma può anche aiutare a trovare la ragione di una nuova vita. Una forma di resurrezione. Perché nessuno nasce Caino».
Neppure chi ha ucciso un fratello?
«No, neppure chi uccide un fratello».
Lei ha seguito il «cammino spirituale» di boss e killer di cosa nostra, camorra e 'ndrangheta. Può un pluriassassino comprendere e immedesimarsi nel martirio di Abele?
«Io sono testimone che ciò, almeno in un caso, è avvenuto sicuramente».
Di chi si tratta?
«Di Gaspare Spatuzza».
Il boss di Brancaccio. Quello della strage di via d'Amelio? Quello del piccolo Di Matteo sciolto nell'acido?
«Sì, e anche l'assassino di don Pino Puglisi e l'autore di un'altra trentina di omicidi».
Ma lei crede davvero alla conversione di un tipo come u' tignuso?
«Ne sono certo».
Su cosa basa questa sicurezza?
«La stanza segreta dov'è detenuto Spatuzza sembra la cella di un monaco. Altare, inginocchiatoio, libri di preghiere, testi di teologia. Una volta, mentre parlava con me, si interruppe e mi disse: "è l'ora dei salmi, vuoi recitarli con me?". Da anni vive un'esistenza ascetica, anche fisicamente non ha più nulla a che fare con l'ex boss Spatuzza. Ha dato tutti i suoi vestiti alla Caritas e veste di nero in segno di lutto per tutte le morti che ha sulla coscienza».
Cosa fa don Marcello, «beatifica» Spatuzza?
«Niente affatto. Le conversioni dei mafiosi non sono mai storie a lieto fine. Sono storie di tormenti infernali, di incubi e disperazione. Come Spatuzza anche il boss Giuseppe Quadrano si è macchiato del sangue di un prete, don Pino Diana. Sia negli occhi di Spatuzza sia in quelli di Quadrano ho letto la disperazione eterna che li perseguita».
Una dannazione legata a un ricordo particolare?
«Sì, allo sguardo e alle ultime parole delle vittime un attimo prima di essere ammazzate. Sia don Puglisi, sia don Diana pronunciarono la stessa frase: "Ti aspettavo... ti perdono"».
Ha assistito al pentimento di altri ex uomini d'onore trasformati in uomini di fede?
«Non solo uomini, ma anche donne».
Le donne sono più propense a rinnegare il Male per abbracciare il Bene?
«No. Ho ancora qui il messaggio di Angela, ex reggente di una 'ndrina. Mi scrive: "Prete, non illuderti di cambiarmi la testa"».
E lei cosa le ha risposto?
«Sei stata tu a dirmi che volevi cambiare testa...". Sono seguiti mesi di silenzi e duri scontri. Ma ora il dialogo e' ripreso».
Altri esempi di boss e killer che hanno intrapreso lo stesso cammino?
«Le storie di Domenico, Emanuele, Francesco e Luigi (tutti detenuti in carceri di massima sicurezza o sottoposti a programmi di protezione in località segrete) sono accomunate dalla presa di coscienza che l'obbedienza cieca ai signori della morte porta solo alla autodistruzione della propria anima».
Qual è il momento x in cui un killer di mafia capisce di avere sprecato la propria esistenza?
«Quando realizza che i capi della sua "famiglia" lo hanno sostanzialmente preso in giro, raccontandogli un sacco di bugie».
Due esempi di menzogne?
«Il mito dell'arricchimento, e il valore della fedeltà coniugale. In realtà i soldi li fanno solo i capi, gli stessi che hanno anche le amanti».
Un'immagine, tra le tante, che le è rimasta impressa?
«La foto di Falcone e
Borsellino attaccata alla parte nella cella di Spatuzza».Il colloquio con don Marcello Cozzi è finito. Lui mi accompagna alla porta. Fuori sempre vento e neve. Il cielo è ancora chiuso. Ma si fa largo anche un raggio di sole.
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