Giuseppe Conte prepara la «trappola di San Luigi» al governo Draghi. Appuntamento in Aula il 21 giugno: il premier Mario Draghi sarà a Palazzo Madama nel pomeriggio (ore 15), per le comunicazioni al Parlamento in vista del Consiglio europeo che si terrà il 23 giugno. Il 22 giugno Draghi, invece, parlerà a Montecitorio. I riflettori sono puntati sul Senato dove l'asse «pacifista» Lega-M5s può mettere in difficoltà, sia numericamente che politicamente, l'esecutivo. È il giorno del «rischio incidente».
Mancano tre settimane al passaggio in Aula, che si preannuncia come lo snodo decisivo per il futuro del governo. Matteo Renzi carica di tensione l'attesa ed evoca il pericolo di una crisi politica: «Il 21 giugno non prendete impegni. È il giorno in cui i grillini tenteranno l'assalto contro Draghi in Senato. Segnatevi questa data: 21 giugno, Palazzo Madama, pomeriggio. Io interverrò in Aula. Ma ricordatevi che questo inizio dell'estate segnerà l'inizio di un lungo inverno per Conte & company. Chi vivrà vedrà». E il ministro allo Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti rivela: «Alla luce della situazione attuale forse anche il presidente del Consiglio «ne ha piene le scatole».
Il leader grillino, di tutta risposta, scopre le carte: «Vogliamo dare assolutamente il nostro contributo perché nella risoluzione espressa dal Parlamento ci sia questa nostra posizione forte, che è quella di imprimere una svolta per il negoziato di pace. Non dobbiamo favorire una escalation militare». E insiste: «Il premier Draghi deve assolutamente essere in prima linea per imporre i negoziati».
Il Senato sarà chiamato a votare sulle risoluzioni delle forze politiche alla vigilia del Consiglio europeo che dovrà rinnovare gli aiuti militari all'Ucraina e le sanzioni contro la Russia. La posizione di Conte è limpida: no all'invio di armi a Kiev. Una posizione che, se certificata da un voto parlamentare, equivarrebbe a un atto politico di sfiducia contro il premier. L'incidente può consumarsi nel voto. Un documento in tre punti: sanzioni alla Russia, aiuti umanitari e via diplomatica. Sparisce la parola armi. È la mossa che può mettere spalle al muro Draghi e aprire un solco tra Cinque stelle e Pd. Le colombe sono al lavoro per ricucire. I contiani vogliono andare fino in fondo. Mario Turco e Michele Gubitosa, i due angeli di Giuseppe Conte, non si sbottonano. Predicano calma. Ma le chat grilline ribollono. Conte fa il vago: «Il M5S appoggerà il governo fino alla fine della legislatura? Dobbiamo essere ascoltati».
Da segnalare l'azione di Roberto Fico. Il presidente della Camera, schierato con la fronda contiana, sta cercando una mediazione. Da Palazzo Chigi trapela fastidio per il comportamento di Conte. Anche il ministro dell'Agricoltura Stefano Patuanelli è impegnato per giungere a un compromesso. Lo strappo resta un'opzione sul tavolo. Gli scenari in vista del 21 giugno sono tre. Il primo: il M5s presenta una propria risoluzione per chiedere al governo il no all'invio di armi. Se il documento contiano incassa la maggioranza in Senato, il premier Draghi non può escludere le dimissioni.
Secondo scenario: se il blitz di Conte fallisse e il Parlamento riconfermasse l'invio delle armi, il M5s potrebbe decidere di uscire dall'esecutivo, valutando l'appoggio esterno. Ipotesi su cui frena Alessandra Todde, viceministro al Mise: «Non mi avventuro nel commentare scenari che in questo momento non vedo». Terzo scenario: Conte e Draghi trovano una mediazione su una risoluzione condivisa.
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