Putin-Obama, scontro all'Onu E Mosca torna grande potenza

Il leader del Cremlino espone un chiaro progetto per battere l'Isis e fermare l'ondata migratoria. Faccia a faccia tra i due presidenti dopo un anno e mezzo

Putin-Obama, scontro all'Onu E Mosca torna grande potenza

È tornato al Palazzo di Vetro dopo dieci anni e in un colpo solo ha messo a segno tre vittorie. Ha messo al tappeto uno sfiancato Barack Obama, ha conquistato l'Assemblea delle Nazioni Unite e ha restituito alla Russia il ruolo di grande potenza. La partita con il presidente americano difficilmente poteva perderla. Da una parte c'era lui, uno Zar amante degli scacchi abituato a muovere solo dopo aver studiato ogni mossa avversaria. Dall'altra c'era un giocatore di poker incerto, approssimativo e senza più un solo asso nella manica. Ma lo scontro di ieri a New York - prima davanti all'Assemblea Generale dell' Onu e poi nel corso di un faccia a faccia serale tra i due presidenti - è andato ben oltre le più pessimistiche previsioni americane. Dopo gli scroscianti applausi riservati al nuovo zar dall'Assemblea Onu, Obama può soltanto pensare alla pensione. Putin può invece vantarsi di aver restituito alla Russia quel ruolo di grande potenza perduto con la caduta dell'Urss.

La strategia seguita dal presidente russo è semplice quanto efficace. A differenza dell'avversario americano gioca a tutto campo, presentando non solo strategie concrete per sconfiggere lo Stato Islamico e piani diplomatici per portare al tavolo negoziale Bashar Assad e i suoi nemici, ma anche soluzioni strutturali per risolvere il dramma dell'emigrazione che travolge l'Europa. Solo ridando vita alle istituzioni distrutte dall'intervento in Libia, solo combattendo a fianco della Siria di Bashar Assad, solo appoggiando l'Iraq, spiega Putin, sconfiggeremo l'Isis, rimetteremo in ordine il Medio Oriente e impediremo che milioni di persone si riversino in Europa. Concetti a cui Obama contrappone slogan vecchi e desueti. Gli stessi che hanno trasformato la Siria in un enorme mattatoio e garantito mano libera allo Stato Islamico. «Ci sono potenze internazionali che agiscono in contraddizione con il diritto internazionale. C'è qualcuno che ci dice che dovremmo sostenere dei tiranni come Assad, perché l'alternativa è molto peggio», ripete Obama.

L'affondo anti-Putin si rivela però tanto esplicito quanto inconcludente. Il presidente americano non propone, infatti, nulla di nuovo rispetto ai bombardamenti senza strategia e alle politiche anti Assad responsabili del disastro siriano. Nel frattempo Putin gli ha già assestato due fendenti mortali. Il primo colpisce Obama domenica sera quando l'Iraq, una nazione dove operano 3500 soldati americani, annuncia un'intesa strategica con Mosca, Damasco e Teheran per lo scambio d'informazioni d'intelligence. L'accordo, messo a punto all'insaputa di Washington, provoca un autentico terremoto alla Casa Bianca e al Pentagono. Presidente e generali realizzano che Putin non sta soltanto schierando aerei, uomini e mezzi nel «risiko» siriano, ma sta conquistando l'egemonia politica nell'area mediorientale, sottraendo all'America consensi ed alleati. E ad assestare il secondo fendente ci pensa il vice ministro degli esteri russo Mikhail Bogdanov, annunciando l'intenzione di Mosca di partecipare agli incontri negoziali di un «gruppo di contatto» sulla Siria formato da Stati Uniti, Iran, Arabia Saudita, Turchia ed Egitto.

La partecipazione di Washington ai colloqui di quel gruppo equivale ad ammettere che Obama, ha, in realtà, già accantonato l'idea di cacciare Assad e si prepara a negoziare una soluzione con i principali sponsor dei ribelli jihadisti (Arabia Saudita e Turchia) e i migliori alleati di Damasco (Iran, Russia ed Egitto). Una soluzione che prevede la ricerca di un'eventuale successione ad Assad solo dopo la sconfitta dei terroristi del Califfato. Il dietrofront di Obama è del resto la conseguenza del fallimento di tutte le strategie della Casa Bianca.

I raid aerei Usa non hanno fermato di un millimetro l'avanzata dello Stato Islamico, mentre la discesa in campo dei cosiddetti «ribelli moderati» destinati a combattere sia Assad sia il Califfato si è trasformata in una farsa. Entrambe le formazioni addestrate fin qui da Washington sono infatti passate armi e bagagli dalla parte dei ribelli qaidisti di Al Nusra. Con tanti saluti all'Occidente e all'amico Obama.

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