C'è poco da girarci intorno: Banksy è un genio.
Per comodità parliamo di lui come se fosse una sola persona, ma in realtà Banksy è un «marchio di fabbrica»; un'«azienda», una «community»; una «factory», al cui confronto quella di Andy Warhol era poco più che una bocciofila.
Banksy, nella dottrina artistica contemporanea, è molto più di un Dio uno e trino: per realizzare infatti l'impresa di ieri durante l'asta Sotheby's a Londra la premiata «Ditta Banksy&Banksy» ha dovuto certamente coinvolgere molti dei suoi azionisti di maggioranza e, forse, anche qualcuno di minoranza.
Solo un gruppo affiatato di «soci» poteva riuscire in una beffa destinata a entrare nei libri di storia: l'aggiudicazione di un quadro per 1,2 milioni di dollari e la sua contestuale autodistruzione tramite un meccanismo nascosto nella cornice che, grazie a un radiocomando azionato a distanza, ha tagliato a fettine il prezioso foglio. Una scena che apparirebbe irreale in un film, figuriamoci nella realtà. Per fortuna sui siti di tutto il mondo il video della beffa è disponibile e per gustarsi la scena basta un clic. E con un clic lo stesso Banksy, confuso tra il pubblico che assisteva all'asta, pare abbia messo in moto l'infernale marchingegno, riuscendo poi a sparire nel nulla esattamente come dal nulla era apparso.
Impossibile riconoscerlo, visto che il volto del celebre writer inglese è da sempre ignoto al mondo: un mistero che ne ha elevato il mito all'ennesima potenza. E ciò al di là del valore oggettivo delle sue opere che sono, né più né meno, dello stesso livello di un qualsiasi buon graffittaro. Ma nell'arte in generale (e nella street art in particolare) il concetto di oggettività è relativo e il valore aggiunto nasce più dallo spruzzo dell'idea che dallo spray delle bombolette. E la performance di Banksy ieri a Londra, davanti a una folla allibita non da un'opera bensì dal suo annientamento, è la prova che i colori mentali sono mille volte più efficaci di quelli dei tubetti. E se poi l'intuizione passa al setaccio di un tritadocumenti è ancora meglio. Il cupio dissolvi come massima espressione di creatività. Con la distruzione di un'opera di arte che rappresentava l'opera stessa come si legge nel racconto di Nick Hornby, «Gesù dei capezzoli». O come insegna la biografia del nostro geniaccio, Guglielmo Achille Cavellini (Brescia 1914-Brescia 1990), l'inventore delle «casse contenenti opere distrutte».
«È la prima volta nella storia delle aste che un'opera d'arte si distrugge automaticamente da sola dopo essere stata aggiudicata - spiega il portavoce di Sotheby,s -. Non abbiamo mai vissuto questa situazione in passato. Stiamo cercando di capire cosa significhi in un contesto d'asta».
Ma l'anonimo compratore che si è aggiudicato la «Bambina col palloncino» un attimo prima che venisse trasformato in tagliatelle di carta, ha fatto un affare o ha preso una fregatura?
Gli esperti di arte (che oggi sono soprattutto esperti
di marketing, perché l'arte è ormai al 99,9% solo mercato) non hanno dubbi: lo stencil tagliuzzato di Banksy già oggi vale il triplo del prezzo cui è stato aggiudicato.Quando si dice un vero capolavoro. Di «paracul art».
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