Quando Renzi in Senato disse: "Se perdo il referendum, lascio"

Ora il premier ha cambiato idea sul referendum e ha messo le mani avanti. Ma a gennaio diceva: "Se perdo, mi dimetto per dignità"

Quando Renzi in Senato disse: "Se perdo il referendum, lascio"

La coerenza: quella virtù facile da sventolare ma difficile da mantenere. In politica, è una trappola su cui si incappa spesso, salvo poi infischiarsene di quello che si è detto il giorno prima. Ne sa qualcosa, o almeno dovrebbe, il premier Matteo Renzi. E se non lo rammenta, lo aiutiamo noi pubblicando di seguito uno stralcio del discorso che pronunciò in Senato il 20 gennaio parlando della riforma costituzionale e del referendum. Parole chiarissime, nette, perentorie, pronunciate con veemenza e determinazione. Adesso il capo del governo ha cambiato idea e sta cercando di spersonalizzare il risultato della consultazione popolare. Ma qualche mese fa ecco cosa diceva:

Il discorso di Renzi in Senato

"Ho personalmente affermato davanti alla stampa e lo ribadisco qui davanti alle senatrici e ai senatori che nel caso in cui perdessi il referendum, considererei conclusa la mia esperienza politica. L'ho fatto perché credo profondamente in un valore che è il valore della dignità del proprio impegno nella cosa pubblica, penso che quando qualcuno in questo dibattito ha scomodato il personalismo ignorando che c'è una grande distinzione tra il personalismo e la personalizzazione, lasciatevelo dire da chi è cresciuto con Mounier, col pensiero del personalismo comunitario, non è che perché uno ha Twitter allora ha dimenticato i punti di riferimento e i padri nobili del pensiero da cui proviene, ma il punto chiave di questa discussione oggi non è la personalizzazione esasperata, non è il tentativo di trasformare un referendum in un plebiscito, è recuperare quel filo di credibilità della persona e dell'impegno politico. Come è possibile immaginare dopo una cavalcata così emozionante e straordinaria unica in 70 anni di potere andare a un referendum su quella che è la madre di tutte le riforme e di non trarne le eventuali conseguenze qualora non vi fosse un voto positivo. Come è possibile non prendere atto che è terminata la stagione dell'impegno politico fatto a prescindere dal consenso dei cittadini, come è possibile immaginare che in un momento come quello che noi stiamo vivendo non possiamo provare a rendere palese ed evidente la grandezza della sfida di fronte alla quale ci troviamo, questa sfida dimostra che il potere che noi esercitiamo e dal quale non ci nascondiamo, perché la parola potere non è una paroal né positiva né negativa, è uno strumento di servizio a favore di una idea e di un processo di cambiamento del paese, il potere che noi esercitiamo ha un senso se viene messo in campo per cambiare l'Italia. Io prendo qui l'impegno esplicito, in caso di sconfitta trarremo le conseguenze ma dico anche che proprio per questo motivo sarà affascinante vedere le stesse facce gaudenti di adesso il giorno dopo il referendum quando i cittadini con la riforma avranno dimostrato da che parte sta l'Italia: sta dalla parte di chi ci crede, di chi ci prova, di chi non passa il tempo a lamentarsi, questa è l'Italia che sta ripartendo.

Nei momenti chiave del mio impegno politico come questo mi capita di ripensare alla mia formazione educativa legata allo scoutismo con una espressione programmatica che molti conoscono anche in questa aula per esperienza personale. Pongo il mio onore nel meritare fiducia...".

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