Ismail Haniyeh, il capo di Hamas, e il presidente turco Tayyip Erdogan sono apparsi ieri come i due capi della rivoluzione violenta: la rabbia mistica con cui si esprimono, l'impronta religiosa che danno ai loro discorsi pretendendo che la Moschea di Al Aqsa sia in pericolo, il loro odio antiamericano e antisraeliano, la loro proclamazione di una reazione violenta e quindi terroristica sono talmente tipici da apparire classici. Stessa musica: attacchi bellici, attacchi terroristici, attacchi della menzogna e della delegittimazione non turbano, per il momento, la quieta gioia del riconoscimento. Ora c'è anche la promessa di spostare le ambasciate delle Filippine e della Cechia, e altri preparano la medesima mossa.
La pioggia si sta allontanando e questo è un male. In Israele, a Gerusalemme, quando piove si è talmente stupefatti che si preferisce stare a casa, ma la polizia israeliana per oggi non può contarci: così si vedrà se il venerdì della grande rabbia, della vendetta, dell'esplosione violenta promessa dai palestinesi in reazione alla decisione di Trump di riconoscere Gerusalemme risponderà alla minaccia di Hamas di una nuova Intifada. Ieri la reazione forte ma contenuta. A Ramallah, a Jenin le manifestazioni hanno portato in piazza molti giovani, ci sono stati un centinaio di feriti, inclusi quelli molto lievi; a Gerusalemme alla porta di Shkem anche se la cavalleria israeliana ha caracollato fra la folla, certamente i numeri non sono comparabili a quelli dell'Intifada. Oggi si capirà meglio: re Abdullah di Giordania e Abu Mazen certo, parlandosi ieri, hanno tenuto alto il grande vessillo delle Moschee. Si ripete che esse devono essere difese, anche se Israele non ha certo intenzione di disturbare lo status quo dei luoghi santi, sempre nelle mani dei loro religiosi. Trump l'ha detto esplicitamente: non si tocca lo status quo, l'aggiustamento finale avverrà solo con la trattativa fra le parti. Quindi, non si capisce davvero la reazione scomposta del mondo arabo fiancheggiato purtroppo dall'Unione Europea, spinta da un istinto pavloviano di cui si potrà pentire al tempo di un nuovo possibile processo di pace che può iniziare adesso.
Intanto, la rabbia, l'ira, l'inferno che si apre, come ha detto Hamas, la minaccia nazionale e internazionale sembrano essere le uniche parola che i palestinesi conoscano. Ma è stata la continua strategia della minaccia, del sostegno alla delegittimazione e al terrorismo, che ha finalmente portato alla svolta del riconoscimento di Gerusalemme. Un campanello di allarme molto rumoroso deve aver suonato per Trump quando l'Unesco ha dichiarato che Gerusalemme nella storia aveva avuto a che fare solo col mondo islamico, ed era suo patrimonio culturale, non di quegli intrusi degli ebrei che con Gerusalemme non c'entrano niente (nemmeno, magari, Gesù Cristo?).
La decisione di abbandonare l'Unesco è la premessa per poi approdare a un'isola di verità, pensando che possa essere il punto di partenza per un rapporto nuovo con tutti che sottragga anche i palestinesi alle grinfie della violenza e della menzogna. Trump propone una strategia nuova: quella del dialogo sulla realtà.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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