Ieri i due nemici si sono dati appuntamento tra le mura dell'Eliseo. Da una parte il presidente François Hollande, dall'altra il suo predecessore e rivale Nicolas Sarkozy. Insieme per una melodrammatica scena di comune contrizione in cui distillare lacrime di coccodrillo alla memoria delle vittime del Charlie Hebdo . Un incontro cordiale e dannatamente obbligato. Anche perché sulla faccenda nessuno può rinfacciare all'altro alcunché. Entrambi condividono, infatti, la responsabilità di essersi cullati in seno la serpe del fondamentalismo islamico, di aver troppo a lungo chiuso gli occhi sulle trasferte siriane di centinaia di «francesi» e di aver spacciato per combattenti per la libertà i tagliagole che dopo aver seminato morte e orrore in quel di Damasco e Aleppo frequentano ora i boulevard parigini.
Da questo punto di vista Said e Cherif Kouachi, i fratellini franco-algerini reduci dalla Siria e responsabili della strage al Charlie Hebdo , altro non sono se non i figli naturali dell'accondiscendente acquiescenza con cui Sarkò prima e Hollande poi hanno occhieggiato ai fanatici protagonisti della ribellione siriana. Una ribellione che entrambi hanno farsescamente travestito da lotta per la democrazia. Con un Hollande pervicacemente convinto, non più tardi di un anno fa, della necessità di far guerra al presidente Bashar Assad, ma indifferente di fronte alla vergogna di 1300 fuoriusciti francesi complici delle scorrerie jihadiste contro i villaggi cristiani. Arrivati a quel punto la tracimazione degli orrori siriani nei boulevard parigini era solo questione di tempo. E per capirlo bastava considerare la reciproca compenetrazione che ormai caratterizzava la società francese e le bande del terrore islamico. Ormai tra quei 1300 convertiti all'orrore circolavano ex ufficiali dei servizi segreti passati al nemico, paracadutisti convertiti e perfino rampolli cristiani trasformati in sadici decapitatori.
Il caso più eclatante è senza dubbio quello dell'alto ufficiale dei servizi segreti di Parigi arrivato in Siria con il compito di addestrare i ribelli e passato nelle file del gruppo al qaidista di Jabat Al Nusra. Lo 007, conosciuto come un esperto d'esplosivi reduce da molte missioni afghane, era considerato una perdita così grave dall'intelligence della Nato che a settembre gli americani non esitarono a concentrare sul suo nascondiglio uno dei primi raid aerei sul territorio siriano. Ma i missili di Obama non bastarono e oggi lo specialista francese, prestato agli alqaidisti di Al Nusra, rappresenta per l'intelligence di Parigi uno dei più gravi e inconfessabili casi d'imbarazzo internazionale. Come lo è peraltro il caso del franco-algerino Mehdi Nemmouchi, il veterano dello Stato Islamico che a maggio dello scorso anno, riuscì non solo a rientrare in Europa e a far perdere le tracce agli 007 di Parigi, ma anche a presentarsi, kalashnikov in pugno, davanti all'entrata del museo ebraico di Bruxelles e a trucidare quattro innocenti visitatori.
Una performance favorita dall'ennesima svista dei servizi di Parigi incapaci di seguire le tracce del sospetto nonostante l'intelligence tedesca avesse ampiamente segnalato il suo arrivo a Francoforte. E in questa sciarada d'imbarazzi come scordare il misterioso ex paracadutista che in un video ribelle dello scorso aprile confessava di aver abbandonato le Forze armate francesi per combattere accanto ai «fratelli» siriani.
Nulla comunque rispetto all'angoscia della signora Ana Dos Santos, madre di una cattolicissima famiglia di Champigny-sur-Marne - alla periferia sud di Parigi - che a novembre riconosce il volto del 21enne figlio Mickael, fuggito di casa dopo la conversione all'islam, in mezzo a quelli di dodici sgherri dell'Isis impegnati a sgozzare altrettanti prigionieri siriani. In fondo in mezzo a storie come queste, icone di una Francia in balìa del fanatismo fondamentalista, quella di due tranquilli massacratori come i fratellini Kouachi diventa solo una prevedibile banalità quotidiana.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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