Quegli altri "Mercatone Uno" che sfuggono a Di Maio

Il fallimento dell'azienda è solo la punta dell'iceberg Al Mise aperti 130 tavoli, ma il vicepremier latita

Quegli altri "Mercatone Uno" che sfuggono a Di Maio

La drammatica chiusura di Mercatone Uno non è che la punta dell'iceberg. Sono più di 130 infatti i tavoli di crisi aperti al ministero dello Sviluppo economico. Oggi è in calendario l'incontro con i sindacati proprio per la catena di mobilifici. Ma sono ancora troppe le piccole aziende e le grandi imprese per le quali non è stata trovata una soluzione che ne permetta la sopravvivenza, salvando così gli stipendi di circa 210.000 lavoratori. Le crisi aziendali non risparmiano nessuna area del Belpaese e in particolare il Centro Italia.

Ma chi è il responsabile della gestione dei tavoli che da mesi sono in stallo? Ufficialmente nessuno. Il pentastellato Luigi Di Maio non appena insediato alla guida del dicastero di via Veneto è entrato in rotta di collisione con Giampiero Castano che da oltre 11 anni era a capo della task force incaricata di gestire le crisi. Il suo mandato non è stato rinnovato e dallo scorso febbraio il posto è vacante. Ma in concreto a sostituirlo è subentrato il vicecapo di gabinetto Giorgio Sorial, assurto agli onori delle cronache nel 2014 perché accusato di vilipendio nei confronti dell'allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Sorial che non era stato rieletto alle ultime politiche è stato recuperato da Di Maio al ministero.

La crisi ha investito un po' tutti i settori, dalla siderurgia ai trasporti all'agroalimentare compresa la grande distribuzione. Sul tavolo i nomi di grandi aziende con i dossier ancora quasi tutti sospesi. A partire da Ast, Acciai speciali di Terni. Qui sindacati e azienda non sono riusciti a trovare un accordo sul nuovo piano industriale a causa della sostanziale disinteresse del Mise. Il dossier che si trascina da mesi è rinviato ad un incontro fissato per il 5 giugno.

Il caso più imbarazzante per Di Maio &C è quello della Pernigotti di Novi Ligure, un marchio storico che ha rappresentato per decenni un brand vincente. A rischio la produzione di cioccolata e torroni per il prossimo Natale perché la proprietà turca ha ridotto all'osso l'operatività. Anche qui nonostante l'incalzare della crisi l'appuntamento al Mise è fissato per il 29 maggio. Ma se non si trova in fretta una soluzione resteranno a casa 100 dipendenti e 150 interinali. E non saranno certo le norme spot contenute nel decreto Crescita a invertire il trend.

Un altro marchio che ha fatto parte della storia dell'industria italiana è sicuramente Piaggio Aero. Il ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, ha ridotto le commesse per i droni da addestramento che rappresentavano il fiore all'occhiello dell'azienda. Il taglio ha comportato la cassa integrazione per i 500 dipendenti al netto degli annunci trionfalistici di Di Maio.

E poi c'è ancora aperto il caso dell'ex Alcoa. L'industria siderurgica sarda con circa 800 dipendenti. Lo scorso aprile Di Maio ha firmato il decreto per erogare gli ammortizzatori sociali ma ha sottovalutato il problema di fondo che blocca le possibilità di recupero dell'impresa da decenni: l'elevato costo dell'energia elettrica. Dunque, senza un intervento mirato a calmierare il prezzo il sito produttivo non ha prospettive di stabilità.

L'unico tavolo che sembra avviarsi ad una soluzione vicina e positiva è quello relativo alla Bombardier.

La società produttrice di treni che ha ottenuto una commessa per 14 nuovi Frecciarossa da Trenitalia. Nessun merito, dunque, per il vicepremier grillino Di Maio per una soluzione trovata soltanto grazie all'intervento di un'azienda di Stato.

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