Sono casi entrati nella giurisprudenza. Che Gino Bramieri avrebbe certo apprezzato. Sentenze vere, ma così comiche da sembrare barzellette. Condannati due carabinieri che in «servizio d'ordine» allo stadio se le sono date di santa ragione perché opposti tifosi delle squadre in campo.
Denunciato un sottufficiale che aveva scritto con lo spray sul muro della caserma: «Tua moglie è una gran p...».
Alla sbarra un caporale che aveva sottratto dal bancone del bar una brioche e un commilitone che «con mossa repentina ne ha mangiata una parte»: sotto processo entrambi, il primo per furto e il secondo per ricettazione «perché traeva profitto dal furto precedente».
Tenente a giudizio perché «rientrato in camerata entrando dalla finestra», il suo permesso d'uscita non era stato autorizzato.
Sono solo alcune delle sentenze emesse dai giudici militari, il cui «stupidario» dei verdetti che sembrano barzellette risulta particolarmente ampio e variegato. Mantenere in piedi il baraccone della magistratura con le stellette è come tenere aperto un'industria di stufe nel Sahara. Scelte lecite, per carità, ma assolutamente illogiche. Le toghe militari (competenti per i reati commessi da soldati e carabinieri) rappresenta infatti una microcasta - superflua, ma tutelatissima - all'interno della maxicasta delle toghe. Tecnicamente anche i magistrati militari fanno parte di quel potere giudiziario che è, insieme a quello esecutivo e legislativo, uno dei tre capisaldi fondamentali su cui si fonda lo Stato. Ma se poi si va a comparare la magistratura ordinaria con quella militare, la differenza balza subito agli occhi: nel primo caso migliaia di processi all'anno, nel secondo a poche decine.
Uno squilibrio evidente conseguenza del fatto che per gli attuali 48 giudici militari (operativi fra tre Procure di Verona, Roma e Napoli) la materia del contendere è scarsissima e spesso relativa a illeciti «bagatellari» che potrebbero essere assorbiti dai magistrati ordinari, o nei casi più irrilevanti addirittura dai giudici di pace.
Del resto con l'abolizione nel 2005 del servizio di leva obbligatoria, il crollo dei contenziosi era inevitabile, ma la lobby ha tenuto duro. Riuscendo a mantenere tutte le prebende che consentono di fare, con ottimi stipendi e una vita di tutto riposo. Quasi di letargo, a rileggere oggi la coraggiosa confessione del 2007 dell'allora giudice militare Benedetto Manlio Roberti che sull'Espresso dell'8 febbraio scrisse testualmente: «Devo riconoscerlo, rubo letteralmente lo stipendio all'amministrazione (...) È ora di finirla con questa farsa. Qui non si lavora più e questa non è dignità».
Coerentemente a quanto denunciato il giudice Roberti ha chiesto e ottenuto il trasferimento nella magistratura ordinaria diventando nella Procura di Padova uno dei pm più impegnati soprattutto nel settore dei reati ambientali. Altri ex giudici militari colleghi di Roberti hanno seguito il suo esempio, ma molti altri hanno preferito continuare a godersi sonni tranquilli.
Nel 2008 una riforma ha dato un serio taglio all'intero comparto della magistratura militare che però ancora oggi - se pur ridimensionata - continua ad avere un suo autonomo Csm (il Cmm), una sua Anm (l'Anmm), tre Tribunali, un Tribunale di sorveglianza, un Corte di Appello e una Procura Generale presso la Corte di Cassazione. Insomma, un perfetto - quanto pletorico - duplicato del già elefantiaco apparato della magistratura ordinaria.
L'attuale ministro della Difesa, Roberta Pinotti, già 9 anni fa, in un'intervista del 3 giugno al Secolo XIX andava giù duro: «Abbiamo i processi più lenti d'Europa, mancano i giudici e ci permettiamo di mantenere decine di fannulloni forzati(...) Ci sono alcuni magistrati che giudicano indecoroso stare con le mani in mano e altri no. L'accorpamento dei tribunali comporterebbe un risparmio di oltre un miliardo di euro».
Oggi siamo nel 2017 e la casta
dei giudici con le stellette non lascia, anzi rilancia: «La giustizia militare è storicamente uno degli orgogli del nostro Paese, nonostante la politica stia facendo di tutto per farci sparire».Magari lo facesse davvero.
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