L'hanno beccato. Ci ha provato Attilio Fontana a travestirsi da uomo di legge, avvocato titolare di storico studio legale a Varese, sessantacinquenne con tre figli e la passione del golf (e del basket), amico della comunità ebraica milanese, un classico esponente della borghesia lombarda poco incline allo sterminio etnico. Macché. Si è pure astutamente rasato la barba per sembrare più civile ma i segugi del giornalismo italiano non si fanno certo prendere per il naso da questi trucchetti e l'hanno smascherato: ma quale volto moderato del leghismo, questo Fontana è un Goebbels del varesotto, un nazista dell'Illinois. Su Repubblica l'uscita infelice («un lapsus») del candidato governatore porta direttamente, nella vignetta a commento, ai campi di concentramento nazisti. E Michele Serra si interroga in prima pagina sui pericoli del suprematismo ariano-varesino («dove si festeggia da anni il compleanno di Hitler»), il terreno di coltura dei Fontana, che non viene direttamente accusato di apologia dell'Olocausto, ma ci siamo vicini. Più a sinistra, sul Manifesto, Fontana e Salvini sono assimilati ai cessi di Trump (a richiamo dell'altra copertina, il «Water Gate» sul presidente Usa, simbolo del male). Grossa preoccupazione anche alla Stampa di Torino, dove l'allarme Fontana assume però una duplice lettura. Da una parte, si ricorda la battuta di Nanni Moretti per cui «chi parla male pensa male e vive male, le parole sono importanti» (lo usa anche Myrta Merlino nella copertina dell'Aria che tira, tirando le orecchie all'incosciente Fontana, razzista a sua insaputa), dall'altra però si sospetta che la frase del leghista non sia affatto un errore, ma una scelta tattica studiata a tavolino per compiacere la pancia xenofoba dell'elettore di centrodestra lombardo, nello specifico al leghista medio bifolco che segue Salvini e si eccita se sente l'odore del sangue (negro, meglio). Lo sa bene il regista (di sinistra, ovvio) Paolo Virzì, che già nel 2013 fece arrabbiare i leghisti perché in un suo film (il Capitale umano) ambientato in Brianza usò tutti i cliché più rodati per descrivere l'umanità - dedita solo ai danè e priva di scrupoli - che abita quelle lande, feudo della destra razzista. «Chi vuole proteggere la razza bianca e costruire muri è il passato, è la preistoria. Bisogna invece guardare al futuro, spalancare le finestre e non barricarsi» spiega Virzì inorridito da Fontana. «Siamo tutti il risultato di contaminazioni, di storie, di territori, di lingue».
In effetti a sinistra, con una tornata elettorale che si preannuncia una Caporetto, non sembra vero di poter usare il kit del pericolo nazifascista per provare ad recuperare punti al centrodestra. Ecco Fratoianni, ex vendoliano di Sel poi Sinistra italiana però confluita in Liberi e uguali (la fantasia è indispensabile quando si va a caccia di un seggio parlamentare) che prende la palla al balzo: «Le parole odiose di Fontana sono l'espressione di una politica e di una sottocultura razzista, intollerante, ignorante». Anche il grillino Luigi Di Maio, senza neppure sbagliare il congiuntivo, dice che se Fontana fosse stato del M5s «lo avremmo fermato», perché «una persona che nel 2018 parla ancora di razza, è una cosa fuori dalla grazia di Dio, sembra uno del Ku Klux Klan».
Allarme rosso anche tra i commissari Ue, da Moscovici a Timmermans («Il razzismo è inaccettabile»). Urge chiedere lumi a Santoro, che ha perso una causa (13mila euro di risarcimento, diffamazione) per aver dato dei nazifascisti all'Associazione Terra Insubre di Varese. Difesa da chi? Dall'avvocato Fontana.
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