Detto questo , ce lo facciamo un apericena ? #maancheno . Io (tra parentesi) mangio solo bio. Ma l'italiano è davvero impazzito? Forse no. La lingua madre tutto sommato sta bene. Le distorsioni, i neologismi, i modi di dire, il «parlato» che trasborda nella scrittura, sono tutti elementi che fortificano la lingua, la rendono viva, mentre un eccesso di correttezza la mummifica. Semmai sono i figli della lingua madre che stanno male. I nuovi gatekeeper del pensiero, gli influencer che comandano la Rete, i trend setter della moda, della musica, del giornalismo, della tv, dei salotti cool , e soprattutto i loro afasici fan, analfabeti social di ritorno diventati ostaggi di parole che usano senza criterio, finendo con l'esserne usati. Tanto da non dire più niente .
Ecco. Riflettendo su questo niente , Luca Mastrantonio - in un pamphlet Pazzesco! (Marsilio, pagg. 216, euro 17) costruito come un «Dizionario ragionato dell'italiano esagerato» - ci dice molto. Ci dice come gli insegnamenti di alcuni cattivi maestri (la pubblicità, il Web, la tv, i personaggi pubblici con più follower) abbiano forgiato una nuova lingua, un cafonal-italiano 2.0, facendo passare nell'uso comune parole talmente iconiche da non aver alcun senso, parole vuote che fanno da rumore di fondo alle nostre conversazioni quotidiane. Reali o virtuali che siano.
Eccole le espressioni più inutilmente abusate nella nostra società dei selfie , in rigoroso ordine alfabetico, da «addicted» a «zombi». In tutto sono un centinaio. C'è «Adoro!», il superlativo radical chic del like di Facebook: un modo per dire chi siamo, più che ciò che ci piace. C'è l'ircocervo grammaticale «carinissimo», superlativo di un diminutivo che fa il paio con l'altrettanto folle tentativo linguistico di suddividere l'indivisibile atomo nell'insopportabile attimino ... C'è l'ormai depotenziato insulto «fascista», accusa politica bipartisan che sopravvive alla Storia e resiste alla (analisi) logica: se si può dare a tutti del «fascista» significa che gli antifascisti non esistono più... C'è «femminicidio», abuso metaforico delle neofemministe sgrammaticate che commettono due errori in una parola: equiparano senza ragione l'omi cidio alla violenza psicologica o comunque non letale; e discriminano con un cortocircuito politicamente ipercorretto il sesso della vittima: stanno dicendo che è più grave uccidere una donna di un uomo? C'è «geniale», che si usa per tutto, e quindi non vale più niente. C'è «hashtag», che si applica a tutto, e ormai non evidenzia più nulla (ma #staisereno lo stesso). C'è «hipster», che è un ossimoro anglosassone molto di tendenza: indica un «giovane vecchio» che è già fuori moda. C'è «lobby», parola di per sé neutra usata (per randellare presunti criminali) da quelli che si sentono esclusi. C'è «milf», acronimo porno soft che rende desiderabili le quarantenni, invidiosissime le teen , e insopportabili i giovani Holden digitali.
C'è, appunto, «pazzesco», termine che dovrebbe indicare qualcosa di anormale e straordinario, eppure è straordinariamente diffuso e normalmente usato: non comunica più alcuno stupore, è solo un intercalare comunicativo. Pazzesco vuole dire «che brutto», oppure «che bello»... dipende. Da cosa? Boh. E poi c'è «sexting» (una cosa sessualmente sicura ma socialmente pericolosa), «start up» (il mondo è tutto una start up, dalla pizzeria che stanno aprendo sotto casa alla Silicon Valley), «storytelling» (che, come ha insegnato per primo Alessandro Baricco, nella vita e soprattutto nella politica è tutto)... insomma qui dentro c'è «Tanta roba». Tutto quello che serve per un buon manuale di autodifesa dalle parole che ci usano, perché le usiamo senza conoscerle.
Un libro utile, quindi? «Assolutamente». Che, peraltro, è un fortunatissimo avverbio di non specificazione usato in funzione sia affermativa sia negativa. «Sei d'accordo?» «Assolutamente». «Ma assolutamente sì o assolutamente no?». Bisognerebbe chiederlo a Fedro, del Grande Fratello.
Catalogo della neo-lingua della società post-orwelliana dei «bimbominkia» e dei «troll» - un mix fra new inglesorum e il dig italiano - il saggio di Mastrantonio ci dice, per non essere out , cosa è
meglio non dire. Affinché il prossimo passaggio non sia riscrivere un classico della letteratura solo con gli emoticon, o un film di culto con i segni grafici. Cosa, peraltro, che qualcuno tenta già di fare. «Sapevatelo».
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