Egregio presidente del Consiglio Matteo Renzi,ho appena ricevuto una nota formale da parte della presidenza del Consiglio dei ministri - Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (Unar) – che si conclude con queste parole: «Si coglie l'occasione per chiedere di voler considerare per il futuro, l'opportunità di trasmettere alla collettività messaggi di diverso tenore». Insomma, senza tanti giri di parole, un ufficio governativo mi redarguisce per le opinioni espresse e mi invita, con garbo, a dire agli italiani cose reputate (dal governo!) più accettabili.
Prima di entrare nel merito delle dichiarazioni contestate, vorrei fare un paio di considerazioni preliminari. La prima è che io sono un parlamentare regolarmente eletto da alcuni cittadini italiani per sostenere le proprie opinioni politiche, ma prima ancora sono una cittadina italiana, e desidero affermare il mio punto di vista senza incorrere in censure governative. Se una nota del genere fosse stata emessa da un governo di centrodestra nei confronti di un deputato dell'opposizione, sarebbe venuto giù il mondo. Non pretendo che tutti siano d'accordo con il mio pensiero, ma rivendico il diritto di esprimere le mie opinioni in libertà e coscienza. Ciò deve valere per qualunque italiano o italiana. Per quanto riguarda i parlamentari, poi, proprio per evitare ogni equivoco in merito, la nostra Costituzione sancisce con l'art. 68 che «I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni». Non mi risulta che questo articolo faccia parte di quelli modificati con le riforme istituzionali volute dal governo, anche se, a pensarci bene, sottoporre le dichiarazioni dei parlamentari a un nulla osta governativo rientrerebbe pienamente nello spirito «innovativo» di questo esecutivo. La seconda considerazione che vorrei fare è che apprendo solo ora che l'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali - regolarmente finanziato dallo Stato con le tasse degli italiani - ha il ruolo di censurare le dichiarazioni rese dalle persone e dai membri del Parlamento italiano. Ne sono sconvolta. Esiste nella nostra Repubblica un ufficio «valutazione e censura» delle opinioni. Esiste un sig. De Giorgi, burocrate pubblico, al quale è stato dato il potere (e il compito) di decidere cosa si possa e non si possa dire.
E la cosa divertente è che lo stesso «ente» che si permette di sindacare le mie opinioni è stato oggetto di polemica per aver promosso la distribuzione nelle scuole di opuscoli sulla teoria gender. Quindi a spiegarmi cosa potrei dire sono quelli che vorrebbero insegnare ai bambini delle elementari che maschi e femmine non esistono, perché il sesso biologico è solo un'invenzione dei benpensanti. Non voglio neanche sapere, presidente, quanto guadagnano questi illuminati servitori dello Stato. Mi limito a far notare che potrebbero essere utilizzati per fare qualcosa di più utile, come ad esempio accertarsi che gli italiani non siano discriminati a casa loro nell'accesso ai servizi pubblici, agli alloggi popolari, agli asili nido.
Infine, le dichiarazioni a me contestate. Ho affermato più volte, e qui ribadisco, che l'Italia dovrebbe dire basta all'immigrazione (finché la disoccupazione non scenderà a un livello accettabile) e che quella (piccola) quota di immigrati che reputiamo necessaria dovremmo prenderla da quei popoli che hanno dimostrato di non essere violenti e di integrarsi con maggiore facilità. Immagino che per un burocrate come De Giorgi anche gli svizzeri e i norvegesi siano extracomunitari al pari degli afghani e dei pachistani, ma io reputo (e con me qualche italiano) che l'immigrazione non sia tutta uguale. L'Unar si è scandalizzata perché ho detto che l'Italia dovrebbe dire basta all'immigrazione musulmana finché questi popoli non avranno risolto i loro problemi interni di integralismo, per evitare di importare in Italia un problema di terrorismo e violenza. E, orrore, ho aggiunto che non mi risulta ci siano in Italia fenomeni di terrorismo collegato all'immigrazione argentina, filippina o ucraina e, pertanto, se proprio devo, preferisco questo tipo di immigrazione.
Qualche anno fa il cardinal Biffi ebbe ad esprimere lo stesso identico mio concetto con le seguenti parole: «Occorre salvaguardare l'identità della nazione italiana» perché «non tutte le culture sono conciliabili con la nostra». Eppure non mi risulta che sia stato scomunicato. Chissà se l'Unar avrebbe redarguito pure lui. Dunque, presidente, confermo e ribadisco ogni singola parola espressa. E rimango in attesa, curiosa di sapere cosa ci sia dopo il cartellino giallo mostratomi dal governo. C'è il rosso diretto o c'è prima un «cazziatone» della Boldrini in pubblica piazza, magari davanti a tutti i parlamentari, appositamente riuniti in seduta congiunta? Che succederà poi, mi espelleranno dal Parlamento, dall'Italia, dalle feste dell'Unità? Perché il passo tra la censura governativa a un parlamentare e la reclusione in un campo di rieducazione spesso è breve.
Nel frattempo, credo che continuerò ad interrogarmi su quale autorità morale e politica abbia concesso tali poteri di censura al governo e all'Unar, travalicando abbondantemente quelli della Costituzione italiana e dei più basilari principi democratici. E chissà se per caso, ma proprio per caso, il nostro presidente della Repubblica avrà qualcosa da dire in merito. Cordiali saluti. Giorgia Meloni- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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