Sbadato Re Giorgio. Sulla ricostruzione dell'intervento militare in Libia nel 2011 l'ex capo dello Stato ha dei vuoti di memoria che colmiamo. La verità è che Berlusconi era sostanzialmente contrario all'uso della forza mentre l'allora capo dello Stato premeva per accendere i motori dei caccia. Rinfreschiamo la memoria del presidente emerito.
11 marzo 2011, vigilia del primo raid dei Mirage francesi contro Gheddafi, del 19 marzo. A Bruxelles c'è un vertice straordinario dei capi di Stato e di governo dei 27 sulla crisi libica e il Colle sentenzia: «Gheddafi ha perso ogni legittimazione a governare». Il vertice è interlocutorio perché Sarkozy freme per l'intervento armato ma la cancelliera Merkel, assieme a Berlusconi, esprime tutte le sue perplessità. La situazione precipita e i caccia decollano. Dopo 10 giorni Napolitano, all'assemblea generale dell'Onu, rimarca: «Il mondo non poteva assistere senza reagire alle molte vittime e alle distruzioni massicce inflitte dal leader libico». Sì, ma le bombe? L'ex capo dello Stato alza il ditino: «Il capitolo 7 della carta delle nazioni Unite contempla specificamente l'uso della forza».
Ma è due giorni dopo, il 30 marzo, che sempre da New York il presidente emerito torna sulla questione libica e sfiora l'incidente diplomatico. In una lunga intervista pubblica alla New York University, Napolitano è durissimo con la cancelliera tedesca, riluttante a far partire i caccia: «Non capisco la decisione di Angela sulla Libia - la sua predica -. Un leader non dovrebbe avere paura delle elezioni né inseguire i sondaggi». In effetti il 9 aprile di quell'anno erano in calendario elezioni in 7 su 16 laender tedeschi, tra cui il pesantissimo Stato di Amburgo. Tutti i sondaggi davano in picchiata la Cdu della cancelliera a vantaggio della Spd. Uno dei motivi? L'ingresso in guerra contro Gheddafi. Napolitano, insomma, picchia duro sulla Merkel e riceve pure la risentita risposta del portavoce della cancelliera che esclude qualsiasi collegamento tra le decisioni del governo di Berlino e le elezioni in alcuni laender. Il comunista e guerrafondaio Napolitano tira dritto: «L'intervento militare? L'Italia ha fatto la cosa giusta. E il fatto che i principali Paesi europei si siano divisi è molto negativo».
Berlusconi, invece, appena può rimarca la propria riluttanza all'intervento: «Non è stata facile la decisione del governo; abbiamo avuto difficoltà a congiungerci agli altri alleati» (26 aprile 2011). Il governo Berlusconi è stato quasi trascinato in guerra e nella maggioranza la Lega scalpita. Tanto che, da Pontida, l'allora ministro degli Interni Maroni aizza la folla dicendo che avrebbe chiesto lo stop alla missione in Libia: «È l'unico modo per fermare gli sbarchi», grida dal palco. Ancora una volta interviene Re Giorgio: «No, il nostro impegno è restare schierati in Libia, come del resto sancito dal Parlamento» (20 giugno 2011). A fare da mediatore il ministro degli Esteri Frattini che pone un limite temporale all'intervento: «Fino a settembre».
La Lega se la lega al dito e in luglio porta in consiglio dei ministri un decreto per il rifinanziamento delle missioni militari: meno soldi alle missioni e rientro dell'ammiraglia Garibaldi dalla Libia. Il decreto passa all'unanimità ma anche questa volta il Colle dice la sua: «No a decisioni o ritiri unilaterali. Toghether out or toghether in». Do you remember, king George?
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.