Roma - Traffico d'influenze illecite: quando il nuovo reato fu introdotto nel 2012 dal governo Monti nella legge Severino anticorruzione, fu battaglia in parlamento e per farlo passare ci volle il voto di fiducia, con rimaneggiamenti battezzati «salva-Ruby», per colpire Silvio Berlusconi in uno dei suoi processi. Ora, quella che per il centrodestra era l'ennesima norma ad personam si ritorce contro la sinistra che la sponsorizzava. Fa traballare il governo Renzi, perché ad essere accusati di questo e altri reati sono il compagno dell'ex ministro dello Sviluppo Federica Guidi, Gianluca Gemelli, e altri indagati, dall'ammiraglio Giuseppe De Giorgi a Valter Pastena, dirigente della Ragioneria dello Stato. «Il reato di traffico di influenze - attacca Lucio Malan di Fi - è stato fortemente voluto dal Pd. La caratteristica di indeterminatezza e vaghezza dipende quindi da loro. Per questo la nostra sfiducia è al governo nel suo insieme per le cose che fa e come le fa». Anche la mozione di sfiducia all'esecutivo del M5S ha al centro il concetto di «forme illecite del traffico di influenze, se non fattispecie ancor più gravi», che attribuisce non solo alla Guidi ma a tutto il governo. Il problema, sembra ora evidente a molti, è appunto la complessità giuridica della norma che ridisegna il vecchio millantato credito, la genericità del reato e di conseguenza l'allargamento della discrezionalità dell'azione penale della magistratura. Insomma, un'arma in mano alle toghe dal raggio illimitato e dagli effetti deflagranti, considerato che la pena prevista è la reclusione da uno a tre anni. Estraneo alla nostra tradizione giuridica, il reato è stato adottato per prima in Europa dalla Francia a fine '800, poi dalla Spagna e dai Paesi di common law e colpisce chi percepisce «denaro o altro vantaggio patrimoniale, come prezzo della propria mediazione illecita verso il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio ovvero per remunerarlo, in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o all'omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio» . Per l'ex magistrato Stefano Dambruoso, questore Sc della Camera, è «un importante strumento a tutela della correttezza della gestione della cosa pubblica, che però deve essere interpretato in linea con il suo originario obiettivo», non può trasformarsi in «uno strumento indefinito che può consentire ai pm di chiedere al governo le ragioni di un emendamento».
D'accordo sanzionare «deviazioni dall'iter corretto di formazione di una legge», ma senza «bloccare i lavori in attesa di sentenze definitive», avverte. Insomma, bisogna salvare la «discrezionalità politica». E non è facile quando dall'altro lato c'è la discrezionalità delle toghe.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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