Referendum, il No è in testa E Renzi pensa al «jolly» Prodi

L'ultimo sondaggio dà i contrari al 53%. Il premier in difficoltà vuole convincere il Professore a schierarsi

Referendum, il No è in testa E Renzi pensa al «jolly» Prodi

Roma Se ne dice convinto Matteo Renzi, ma lo ammettono anche dal fronte del «No»: fare previsioni oggi sull'esito del referendum costituzionale è difficile, se non impossibile.

Di qui a metà novembre può accadere di tutto, la campagna elettorale non è neppure iniziata e in tutte le rilevazioni si constata che il numero degli incerti è elevatissimo. Per questo nessuno prende molto sul serio i sondaggi ferragostani che vengono diffusi da siti o giornali: ieri è stata la volta di quello di Scenari Politici, commissionato da Huffington Post: 53% per il «No» contro 47% per il «Sì». Il fronte del «No» esulta e assicura di avere ormai la vittoria in tasca. Ma le percentuali sono rilevate sulla minoranza (49%) che ha già deciso di andare a votare. Il 51% ancora non lo sa, e non sa che scelta farebbe. Un'interpretazione dei trend prova a darla Arturo Parisi, mente politica di Romano Prodi e inventore dell'Ulivo che ieri, in una intervista alla Stampa, si è schierato ufficialmente per il «Sì»: «Con la quantità di non rispondenti e indecisi nei sondaggi, ogni risultato è ancora possibile. Molti i No? Semmai mi stupisce che siano così pochi: in consultazioni di questo tipo, mentre la maggioranza preferisce ancora tacere, a dichiararsi all'inizio sono soprattutto coloro che, essendo all'attacco, ci mettono più sentimento. Ancor più quando il No, più che a una norma astratta, è un No a chi ci ha messo faccia e nome». Ossia al presidente del Consiglio Renzi. Quanto alla sua scelta di campo, Parisi spiega che è toto corde per il Sì perché «riconosco nella riforma, quasi alla lettera le principali tesi che Prodi propose alla coalizione dell'Ulivo».

E quello di Parisi sembra anche un tentativo di stanare l'ex premier, facendolo uscire dal suo bozzolo di rancore verso le nuove leve Pd che - Renzi in testa - non hanno reso sufficiente omaggio alla sua leadership e si sono ben guardati dal candidarlo al Quirinale o - cosa che Prodi non ha mai perdonato al premier - non lo hanno sponsorizzato come mediatore per la Libia. Per questo Prodi (che, gli ricorda Parisi, fu fin dal 1996 promotore di una riforma costituzionale che era in pratica la fotocopia di quella solo oggi realizzata dal governo Renzi) se ne sta sull'Aventino e per il momento rifiuta di schierarsi, anzi fa trapelare che potrebbe non rivelare proprio come voterà al referendum, per far dispetto al poco deferente Renzi. Per il quale, invece, un imprimatur del «padre dell'Ulivo» sarebbe a questo punto preziosissimo, per legittimare il Sì al referendum nel popolo di centrosinistra.

Un gesto di buona volontà dell'ex premier, oltretutto, potrebbe avere un effetto taumaturgico dentro il Pd, delegittimando le tentazioni pro «No» di un pezzo della minoranza.

Ieri il tentativo di mediazione avviato dal renziano Guerini e dall'ex governatore dell'Emilia Romagna Vasco Errani per superare lo scontro interno sull'Italicum è stato respinto, a nome dell'ala dura, da Miguel Gotor: «La legge elettorale per i nuovi senatori - tuona l'ex consigliere di Bersani nella disastrosa campagna elettorale del 2013 - non è una concessione che viene fatta alla minoranza del Pd, ma l'indispensabile rispetto di un accordo che ci ha consentito di votare in modo unitario la riforma costituzionale. Il nodo politico da sciogliere da qui al referendum è un altro e riguarda l'Italicum».

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