Di imbrogli, nella storia geopolitica delle nazioni, ce ne sono stati tanti. Forse il più famoso è quello che il filologo Lorenzo Valla scoprì nel 1517, quando dimostrò che la Donazione di Costantino, con cui era stato, di fatto, riconosciuto, a partire da papa Silvestro I, il potere temporale della Chiesa, era un falso.
Allo stesso modo, il professor Giuseppe Guarino (spero non me ne voglia per il parallelo), ha dimostrato in un libro del 2013 passato sotto silenzio, Saggio di verità sull'Europa e sull'euro , nel 2015 ripreso da Angelo Polimeno in Non chiamatelo euro , che anche la moneta unica è costruita su una base giuridica inesistente. E, quindi, a tutti gli effetti illegittima.
Ma mentre l'imbroglio della donazione di Costantino è stato geniale, intelligente e ha avuto meriti straordinari dal punto di vista storico-politico, perché ha stabilizzato il mondo allora conosciuto; quello dell'euro, invece, si sta sempre più rivelando un pasticcio giuridico stupido, inefficiente, che ha finito per favorire solo alcune economie a danno di tutte le altre. Un imbroglio destabilizzante, egemonico, da quarto Reich, antagonista, dell'Europa luterana di Angela Merkel, contro l'Europa cattolica (sperando che questa dicotomia non appaia troppo azzardata). In tempi di referendum, in tempi di Europa sì-Europa no, in tempi di file ai bancomat questo parallelismo, se si va oltre la strumentalità delle analisi un tanto al chilo, appare inevitabile.
Per quanto riguarda l'euro, tutto inizia con il trattato di Maastricht, e il punto nodale risiede nel fatto che mentre il suo testo ha subìto il vaglio dei parlamenti nazionali degli Stati membri, e in alcuni casi, come la Francia, di referendum popolari, i due regolamenti successivi che costituiscono il patto di Stabilità, che ne hanno stravolto i contenuti e la filosofia sottostante, non sono stati sottoposti al vaglio né di assemblee legislative né del popolo. Ecco, in sintesi, l'imbroglio dell'euro svelato da Guarino.
Il trattato di Maastricht fu firmato il 7 febbraio 1992, ma il passaggio clou di tutte le negoziazioni fu l'Ecofin (riunione dei ministri economici e finanziari) del 21 settembre 1991. Su proposta italiana dell'allora ministro del Tesoro, Guido Carli, nel testo fu inserita una clausola che, con riferimento ai parametri fissati, consentiva agli Stati «di tenere conto della tendenza ad avvicinarsi al valore di riferimento e di eventuali cause eccezionali o temporanee di scostamento da quei parametri». Significa che gli Stati che non rispettavano i «paletti» di Maastricht non dovevano realizzarli attraverso un piano di rientro a tappe forzate, bensì adottando politiche virtuose che comportassero miglioramenti progressivi. Vale a dire senza stress eccessivo, e controproducente.
I parametri, dunque, abbiamo detto, furono fissati, ma con una dose di flessibilità. Perfetto. Peccato che pochi anni dopo, nel 1997, il trattato di Maastricht è stato modificato proprio in questo punto fondamentale. Ma, attenzione: attraverso dei Regolamenti, che non necessitano di alcun via libera popolare, diretto o indiretto per via parlamentare.
Con il Patto di stabilità, quindi, dei Regolamenti sono stati elevati al rango di Trattati, allorquando essi possono solo disciplinare l'applicazione delle disposizioni previste dai trattati, senza mai entrare in contraddizione con questi ultimi. E brava la Germania, sempre rispettosa delle regole, tranne quando vanno a proprio svantaggio, e vengono quindi modificate a sua immagine e somiglianza.
I regolamenti in questione, che costituiscono il Patto di stabilità, sono il num. 1466/97 e il 1467/97, del 17 giugno 1997, entrati in vigore a marzo 1998. Con un colpo di mano, introducono quel principio di rigidità che Guido Carli era riuscito a evitare.
Inoltre, vengono inseriti meccanismi di sorveglianza e sanzionatori che tolgono di fatto agli Stati membri la piena autonomia nelle scelte di politica economica. Si realizza così, con strumenti giuridicamente inadeguati (ripetiamo: due Regolamenti e non un Trattato) il primo vero scippo di sovranità degli Stati nazionali da parte dell'Europa. Anzi, per essere precisi, di Germania e Francia.
Il patto di stabilità resta in vigore fino al 6 dicembre 2011, e pochi giorni dopo, il 13 dicembre 2011, ne entrò in vigore uno nuovo e rinforzato. Le misure in esso contenute, denominate Six Pack, sono scritte in 5 Regolamenti e 1 Direttiva approvate dal Parlamento Europeo a novembre 2011. Stessi principi dei due precedenti Regolamenti, stessi meccanismi di sorveglianza e sanzionatori.
Anche in questo caso (consiglio Europeo del 17 giugno 2010), qualcuno fece inserire una clausola di flessibilità: l'allora presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi, che insistette a lungo affinché nel percorso di avvicinamento agli obiettivi di bilancio si tenesse conto dei cosiddetti «fattori rilevanti», vale a dire delle specificità delle economie dei singoli paesi, e del ciclo economico.
In particolare, la proposta di Berlusconi era incentrata sulla previsione di «attribuire importanza maggiore ai livelli, all'andamento e alla sostenibilità globale dell'indebitamento degli Stati». Prendendo in considerazione l'indebitamento aggregato, infatti, l'Italia è seconda solo alla Germania. E rivedendo in tal senso i parametri del Six Pack, sarebbe chiamata a uno sforzo di riduzione del debito pubblico ridotto almeno alla metà rispetto alle manovre del 3% annuo del Pil per 20 anni previste dalle regole attuali e che oggi ci strozzano.
È nato così il Fiscal Compact, approvato dai capi di Stato e di governo a Bruxelles il 2 marzo 2012, e ratificato in Italia il 19 luglio 2012. Neanche il Fiscal Compact ha il rango di trattato in grado di modificare Maastricht, in quanto non è stato adottato all'unanimità, in quanto è mancato il voto dell'Inghilterra.
Di restrizione in restrizione della sovranità popolare abbiamo avuto poi il Two Pack, due ulteriori regolamenti approvati nel 2013 e, ultimo in ordine di tempo, il documento preparato dal presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker, in collaborazione con i presidenti di Consiglio europeo, Eurogruppo e Bce, sulla governance economica dell'Eurozona, presentato al Consiglio europeo dello scorso 25-26 giugno.
Anche in questo caso, nonostante l'importanza epocale, il documento Juncker, che stringe ulteriormente l'imbuto dei controlli da parte di una burocrazia comunitaria sempre più occhiuta e rafforzata, è stato messo all'ordine del giorno della riunione dei capi di Stato e di governo insieme a un lungo elenco di altri argomenti, al fine di farlo passare in secondo piano.
Non possiamo più accettare questo comportamento. Non possiamo più accettare che le cessioni di sovranità avvengano senza alcun dibattito democratico e senza essere controbilanciate da un rafforzamento dell'unione politica dell'Europa. Fermiamo questa deriva. O, se procedono le unioni bancaria, economica e di bilancio, in parallelo deve procedere anche l'unione politica. Dove è finito lo spirito originario dei padri fondatori, con la loro idea di Europa politica, solidale, sociale e di mercato, cattolica? Oggi siamo allo scontro con un'altra Europa: quella tedesca, prussiana, protestante, luterana, calvinista di Angela Merkel. Quella del sangue, sudore e lacrime; quella del «Se sei in crisi è colpa tua», quella dei compiti a casa. Ma anche quella dell'imbroglio del dopo Maastricht. Tutta vincoli e niente politica.
Come nel caso di Lorenzo Valla la denuncia rispetto al potere temporale della Chiesa servì a poco e non cambiò niente (per fortuna, dal momento che riteniamo sia stata preferibile nei secoli la dialettica fra Papa e imperatore, per l'affermarsi della democrazia, piuttosto che un'unica autorità imperiale); oggi siamo sufficientemente realisti per renderci conto che tornare indietro, al primo trattato di Maastricht, appare impossibile. Però questa storia ci dice che andare avanti a occhi chiusi non è altro che un suicidio.
Qualunque sarà l'esito del referendum greco di oggi, con questi temi, con queste pulsioni, che vengono da lontano, si dovranno fare i conti. Con questa Europa non si va da nessuna parte. Se non implode oggi, imploderà domani.Ma i popoli hanno risorse impensabili. I prossimi mesi, i prossimi anni saranno di certo interessanti. Nessun dorma.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.