Luigi Di Maio, alla fine, da Giovanni Floris non ci è andato. E così, negli studi di DiMartedì, campeggia in lontananza il suo faccione. Sta lì, alle spalle di Matteo Renzi. Che, sfidato in un duello televisivo, si è presentato nonostante la batosta incassata alle elezioni regionali in Sicilia. "Dispiace che non ci sia Di Maio, mi aveva invitato lui... - tuona il segretario del Pd - è il leader di un partito importante e sarebbe importante che non scappi. Io spero che non accada ma se diventasse presidente del Consiglio non è che può fare lo spaccone". Poi, però, è lui il primo a non farsi carico delle proprie responsabilità, sia sul fallimento elettorale di domenica scorsa sia sulla crisi bancaria che ha travolto il Paese negli ultimi mesi.
A 48 ore dal voto, fatte tutte le analisi e i confronti possibili, la batosta siciliana al Pd fa paura. Il "nuovo bipolarismo" centrodestra-Movimento 5 Stelle non è più solo la schermata di un sondaggio ma, da fotografia del presente, rischia di trasformarsi in un incubo futuro. Tutte le anime dem sono in subbuglio. E l'assalto al quartier generale sembra lanciato. "Sono mesi che cercano di mettermi da parte, ma non ci riusciranno nemmeno stavolta", scrive nella enews del mattino. "Dire che il problema sono io per il voto in Sicilia si colloca nello stesso filone - sottolinea - utilizzare ogni mezzo per togliere di mezzo l'avversario scomodo". L'obiettivo, quindi, non cambia: "Se il Pd fa il Pd e smette di litigare al proprio interno possiamo raggiungere, insieme ai nostri compagni di viaggio, la percentuale che abbiamo preso nelle due volte in cui io ho guidato la campagna elettorale: il 40%, raggiunto sia alle Europee che al Referendum". Avanti, quindi. Ma non tutti, al Nazareno, sembrano convinti di questa linea.
In serata la sfida si sposta nel salotto di Flori. A DiMartedì, pur ammettendo la sconfitta in Sicilia, non se ne fa carico. "Il giudizio sul Pd sarà alle elezioni politiche - spiega - io sono il responsabile di due grandi campagne elettorali, una vinta e una persa. Quella vinta è quella delle europee. Quella persa è quella del referendum". E ci tiene a rimarcare: "Da quando sono segretario abbiamo conquistato cinque Regioni, strappate agli avversari, e due perdute". Ora, però, c'è l'appuntamento dell'anno prossimo. E il Pd rischia un altro flop. Secondo i sondaggi più recenti i dem hanno bruciato cinque punti in cinque mesi. E col Rosatellum rischiano di non toccare palla. Ma, nonostante questo, Renzi non sembra affatto disposto a trattare con Mdp. "La divisione c'è stata quando noi abbiamo lanciato le primarie - spiega - le scelte su chi fa il leader non le prende un signore a cena o un software. Lo decide un popolo che porta due milioni di persone a votare e questa gente merita rispetto".
L'immagine che dà Renzi è di uno che è sempre pronto ad auto-assolversi. Sia sui fallimenti politici sia sui crisi, come quella bancaria, che stanno mettendo in ginocchio il Paese. E così, se lo si sta ad ascoltare, la colpa va sempre a qualcun altro. "La vicenda Banca Etruria - dice - è una delle tante che le falsità che invadono la rete hanno trasformato in qualcosa di diverso". E per il Monte dei Paschi di Siena va in giro a raccontare la stessa identica storia. "È una banca su cui ci sono troppi misteri - dice - a cominciare da quel pover'uomo che è morto in quel modo, nel 2013: David Rossi". Ma non parla delle colpe dei dem. Poi, però, non si fa problemi a puntare il dito contro Bankitalia e contro il premier Paolo Gentiloni che sullo scranno di via Nazionale ha confermato Ignazio Visco.
E qui trapela la forte "nostalgia" del segretario del Pd per Palazzo Chigi. È lì che vorrebbe tornare per manovrare il Paese. Lui è convinto di riuscirci ("Siamo il primo partito, il centrodestra si spacca ogni giorno"), gli italiani un po' meno.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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