Renzi generale senza truppe rischia lo scalpo al congresso

Il segretario del Pd punta a una rapida reinvestitura ma i "capitribù" suoi alleati preparano l'imboscata

Renzi generale senza truppe rischia lo scalpo al congresso

Occhio al segnale di fumo, alla lingua biforcuta, alla nuvola che passa. Più che al Nazareno, si svolge in territorio Cheyenne lo scontro tra il Toro Pestato che siede incavolato nero a Pontassieve e i capi-tribù che hanno dissotterrato l'ascia di guerra. Mohicani destinati all'estinzione, ma non solo, ed è questa la novità degli ultimi giorni.

Diffidare delle tracce disseminate lungo il terreno: quasi sempre conducono all'imboscata. Per esempio l'accelerazione improvvisa che per ordine di Matteo Spiumato Renzi si diffonde a macchia d'olio tra i divani di Montecitorio. «Lunedì il segretario si dimette» ululano come alla danza della pioggia. #famostocongresso, è il cinguettio di battaglia lanciato da Alessia Morani, inevitabile corollario. Deboli gli argomenti, forte il chiasso, finché come succede in questi casi la lingua batte dove il dente duole. «D'Alema & C. vogliono logorare il Pd, facciamo subito il congresso e vediamo con chi stanno iscritti e militanti», strepita svelando il piano la squaw Pina Picierno, spedita all'Europarlamento proprio per non continuare a far danni in tenda (come si vede, invano). Il nodo sta proprio qui, come le tribù di sinistra dem in seduta plenaria decretano. «Vogliono fare in fretta e furia, una gazebaria alla Casaleggio... Ma se è così, se lo fanno da soli. Anzi, con Verdini», sillaba Boccia, l'Arapaho. Un congresso convocato «prima ancora di sapere con quale legge elettorale si andrà a votare: un rischio per il partito e per il Paese», sentenzia Falco rosso detto Gotor. Se ne deducono chiari segnali fumosi: di un Capo impaurito che dà mandato ai suoi di impaurire gli avversari, perché impreparati ad affrontare un congresso che li decimerebbe sull'altare di Manitù-Pensaci-tu Renzi. E loro, i Navajo sempre bellicosi tra di loro e perciò sempre minoranza, minacciano la scissione. Di portar via donne a armenti, se si tratterà di congresso-farsa come pare. Ma anche questa diaspora sembra una freccia spuntata sull'arco, e ultima spiaggia. Se è vero - com'è vero - che in realtà le truppe sono in movimento notturno, si posizionano nelle gole e negli anfratti, e i fatti, quelli veri, accadono altrove. Se Gentiloni incassa fiducia e si rafforza, se la congiuntura europea e internazionale congiura in suo favore, ecco che Geronimo Franceschini continua a far spola silenziosa con il Colle-che-tutto-vede e Cochise Orlando si muove da nuovo padroncino (tutti lo aspettano al guado), visto che sa dove metter mano. Intanto a Palazzo Madama la marcia dei 40 che hanno detto no alla follia elettorale rende evidente che l'alleanza tra i puri eredi di Dc e Pci funziona meglio oggi che Matteo s'è seduto nell'angolo. Sono loro ad aver fucili e acqua-di-fuoco. Leggi la maggioranza di delegati per un congresso che, di regola, dura sei mesi e non lo spazio d'un gazebo e d'una primaria. Perciò si dovrebbe aprire a giugno nei circoli, predica l'immarcescibile Giaguaro sbiancato, e celebrare a dicembre. Qualcosa s'è già mosso, dunque: si scorge dalla lingua di Nuvola Rossa D'Alema, che si frena sulla scissione ma non sullo scalpo: «Renzi non può essere la guida adeguata di un nuovo centrosinistra; non ci si rende conto che siamo seduti su una polveriera».

Votare è follia: detto da lui, che pure era stato mandato sulla montagna a crepare, c'è da credergli. Almeno fino a lunedì, quando Toro Spiantato tornerà dal ritiro spirituale e mostrerà finalmente il nuovo volto: Cervo zoppo o Cavallo pazzo, lo si vedrà.

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