«Nel voto abbiamo tenuto, buon segno per le successive partite», dice un esponente renziano del Pd. Sancito l'accordo M5s-Centrodestra e sventato il timore dell'ex segretario che dalle sue file partisse qualche inciucio sulle cariche istituzionali, i Dem ieri hanno votato due candidati di bandiera che hanno fatto più o meno il pieno dei loro voti: Roberto Giachetti alla Camera, Valeria Fedeli al Senato.
Ma il fuoco dello scontro cova sotto la cenere, e i nervi sono a fior di pelle. Tanto che ieri mattina Renzi e il reggente Maurizio Martina hanno battibeccato pubblicamente: «Si decide tutto nei caminetti», ha denunciato il primo. E il secondo, che prima dell'assemblea del gruppo aveva convocato per l'appunto un caminetto coi soliti Franceschini, Orlando, Orfini, Delrio, Zanda eccetera per consultarsi sulla linea, si è sentito nel mirino e ha reagito: «Non si chiamano caminetti, si chiama collegialità». Renzi ha precisato: «Veramente mi riferivo alle trattative sulle Camere tra grillini e centrodestra», ma il malumore rimane. «Avremmo potuto giocare tutta un'altra partita, se non fossimo stati bloccati sulla linea del facciano loro», si sfogava con i suoi Franceschini, che Renzi sospetta di aver puntato sulla presidenza della Camera. «Se avessimo messo in pista il nome di Emma Bonino per il Senato nei tempi giusti, avremmo potuto far saltare i giochi altrui. Così invece ci consegnamo all'irrilevanza» lamentano altri.
L'oggetto di critiche e lamenti è ovviamente Matteo Renzi, che ha inchiodato il Pd sulla linea del «tocca a loro, noi siamo all'opposizione» per frenare eventuali giochi di sponda con i grillini di chi all'opposizione dura e pura non si rassegna. E le divergenze trapelano anche dalle diverse reazioni all'elezione del grillino Roberto Fico: i renziani ironizzano sulla nascita del «Grillusconi», e sulle parole del neo-presidente: «Dice che si opporrà a inaccettabili pressioni esterne sul Parlamento: immagino si riferisca al ruolo della Casaleggio», dice Anna Ascani. Invece Martina legge nelle recondite pieghe del discorsetto di Fico «parole sfidanti», e assicura che «accetteremo la sfida del cambiamento». Francesco Boccia, supporter del filo-grillino Emiliano, è addirittura commosso: «Fico è di sinistra». Insomma, gli indizi di una linea più aperturista verso Di Maio & Company, pur di evitare il terribile evento di un «governo delle destre» (con le quali destre, peraltro, è Di Maio medesimo a volersi accordare) ci sono ancora, eccome. Per questo la partita dei capigruppo, ossia coloro che esprimeranno la linea Pd alle consultazioni, rimane centrale, e su quello - dice Matteo Orfini - «martedì sarà inevitabile andare alla conta tra due linee politiche molto diverse». Per Renzi, devono restare i nomi già scelti: Guerini alla Camera, Marcucci al Senato.
In settimana si deciderà anche sulle vicepresidenze delle Camere: l'ambasciatore della Lega, Giorgetti, si è fatto garante di un accordo con M5s in base al quale il Pd ne avrà una a Montecitorio (in pista Rosato o Giachetti, le altre tre andrebbero ai tre partiti del centodestra) e una a Palazzo Madama (in pista l'orlandiana Rossomando, le altre tre andranno a grillini, Lega e Fdi).
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