Renzi, siamo al Vietnam

La fronda promette guerriglia in Aula, il partito esplode. E Matteo sembra sempre più premier a sua insaputa

Matteo Renzi dal Giappone, dove si trova in visita di Stato, detta alle agenzie l'ennesima lista della spesa: faremo, diremo, riformeremo. E stila l'ennesima lista dei buoni e dei cattivi. Questa volta dietro la lavagna finiscono i sindaci, suoi ex colleghi, colpevoli di tenere sporche le città. Più che un premier, Renzi ormai sembra un maestrino che dispensa voti e giudizi, a tutti tranne che a se stesso. Gli si addice quella massima un po' impietosa per i professori che recita: chi non sa fare, insegna. Reduce da un nuovo record negativo, quello sulla disoccupazione, Renzi dimentica che il capo è lui, e non da ieri. In un anno e mezzo di governo, Reagan aveva ribaltato gli Stati Uniti, la Thatcher messo in riga una Gran Bretagna allo sbando. Non avendo mai lavorato un giorno in vita sua, a Renzi sfugge che se le cose non funzionano la responsabilità è tutta e solo di chi ha in mano l'azienda. Sta a lui scegliere strategie e uomini, trovare le risorse. Dipendenti e sottoposti vanno motivati o - se si mettono di traverso - rimossi.

È del tutto evidente che, al di fuori del cerchio magico fiorentino - più miracolato e beneficiato che motivato -, il premier ha una squadra che lo detesta e che lo vorrebbe disarcionare il più presto possibile. Da piccola pattuglia di comunisti nostalgici, la fronda si sta allargando a vista d'occhio e promette: da settembre, il Parlamento sarà un Vietnam, guerriglia pura. Dovessi scegliere come minore dei mali, tra Renzi e i suoi oppositori interni, starei con il premier. Il problema è che lui non ha la forza e, forse, neppure l'intelligenza di imporsi. La situazione gli sta sfuggendo di mano e sta trascinando l'Italia dentro la resa dei conti del suo partito.

Da quando, per eccesso di arroganza e furbizia, ha disdetto il patto del Nazareno firmato con Berlusconi, il premier è andato nel pallone e ha infilato una cavolata dietro l'altra. Risultato: l'Italia si è fermata e non c'è sintomo che possa ripartire. Peggio, tutti i parametri economici dicono che stiamo ulteriormente retrocedendo. Quindi è inutile che Renzi ogni giorno ci spieghi che cosa si dovrebbe fare.

Se lui non sa fare, ne tragga le conseguenze: cambi strategia e alleanze. Prima che gli azionisti della sua azienda, cioè gli elettori, gli tolgano del tutto una fiducia che, del resto, non è mai stata certificata nelle urne.

servizi alle pagine 2-3 e 5

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