Di mese in mese il «dossier» contro papa Francesco si gonfia di nuovi fascicoli. Il più consistente è quello sulla famiglia e la comunione ai divorziati, terreno su cui «si svolge la lotta fondamentale circa la dignità dell'uomo», per usare parole di Giovanni Paolo II nel 1997. Ma in una parte del mondo cattolico, non solo italiano (Est Europa, Africa, Stati Uniti), lo sconcerto si allarga ad altre questioni. La liturgia, cioè il modo di celebrare la messa, i sacramenti, le preghiere, i canti. La difesa della vita, passata in secondo piano davanti all'insistenza su temi come l'accoglienza degli immigrati e la difesa del creato. La discontinuità con il magistero degli ultimi pontefici. La distinzione tra teologia e pastorale, tra le regole e la loro applicazione. Il rapporto con la curia vaticana. I legami con la politica. E non si tratta di singole questioni, qualcosa che va e qualcos'altro no. «Oggi si gioca il permanere della Chiesa nella verità di Cristo», dice Riccardo Cascioli, direttore della «Nuova bussola quotidiana». Niente di meno. E sui sempre più numerosi siti tradizionalisti risuona la chiamata alle armi per «nuova crociata» voluta da Dio. L'infedele non è più a Gerusalemme, ma a Roma.
Il Papa che vuole abbattere muri e costruire ponti starebbe in realtà innalzando barriere e scavando fossati. All'inizio del pontificato in queste cerchie si pensava che la diversità rispetto a Giovanni Paolo II e Benedetto XVI fosse questione di biografia, di temperamento personale e retroterra culturale. Oggi invece gli ambienti antibergogliani parlano di una vera rottura con Cristo stesso. Una lacerazione complessiva, non limitata a qualche campo di applicazione. «Una parte della Chiesa dice Cascioli crede che il Concilio Vaticano II ne abbia fatta nascere una nuova. Quello che c'era prima è stato tagliato via, ciò che era stato affermato fino all'altro giorno viene contraddetto, e il nuovo va costruito nel rapporto con il mondo, non nella fedeltà a duemila anni di storia. Cancellato anche lo sforzo dei predecessori di condurre una riforma nella continuità. Nel dopo Concilio si era sviluppato un magistero parallelo alternativo a quello dei Papi. Era minoritario e oggi ha preso il potere».
L'ultimo fronte aperto è quello della liturgia, materia molto tecnica. Papa Francesco di recente ha disposto che la Santa Sede non opererà più una revisione delle traduzioni dei testi liturgici fatte dai singoli episcopati, ma interverrà semplicemente con una conferma o una bocciatura. Il fronte conservatore vi ha colto un nuovo elemento di discontinuità tra Francesco e Benedetto XVI, identificato come l'ultimo vero custode del depositum fidei, i cardini della fede affidati al successore di san Pietro. «È una follia taglia corto il vaticanista Marco Tosatti : il messale in inglese può essere diverso in Alaska, Australia, Kenya. Stessa lingua, stessa messa, ma ogni conferenza episcopale potrà fare la sua traduzione mentre il Vaticano si limiterà a mettere un timbro. Se sei la Chiesa cattolica e universale, devi avere una cosa uguale ovunque: la messa. Mi pare una banalità sconcertante».
Ma l'elenco delle lamentazioni è sterminato. Con papa Francesco sarebbe in dubbio il valore dell'eucaristia, cioè la presenza reale di Cristo nel pane e vino consacrati. In crisi anche la difesa della vita da quando Bergoglio archiviò l'espressione «valori non negoziabili»: «I valori sono valori e basta», disse in un'intervista al Corriere della Sera che sembrò mettere una pietra sull'insegnamento di Ratzinger, il quale quando guidava la Congregazione per la dottrina della fede coniò l'espressione «principi non negoziabili».
Secondo i detrattori, Francesco parla solo di immigrati e accoglienza, mai di combattere aborto, eutanasia, fecondazione. E avrebbe abbandonato l'ecumenismo di Benedetto XVI verso gli ortodossi per privilegiare un dialogo ritenuto ambiguo con i luterani.
Crea sconcerto un Papa che in aereo parla a ruota libera con i giornalisti, che non ama i teologi ma si lancia in lezioni sui cambiamenti climatici, che distingue la dottrina dalla pastorale con il risultato di cristallizzare le regole in un passato lontano mentre la modernità richiederebbe adattamento ed elasticità. Dopo anni di collateralismo tra vescovi e politica, si contesta l'appoggio del Vaticano al governo Gentiloni sulla gestione degli immigrati. Giornali, siti e blog criticano ferocemente le decisioni di Francesco, le riforme rimaste sulla carta, le scelte delle persone, la presunta volontà di esautorare di fatto la curia romana sostituendola con un «cerchio magico» di consiglieri che fanno e disfanno. I prefetti delle Congregazioni curiali sarebbero poco più che belle statuine tenute a ratificare i diktat che arrivano da Casa Santa Marta. La gente che continua ad andare a messa la domenica, sempre secondo la narrazione di chi predica il «dovere di resistere», è sconcertata da un Papa che bastona i vescovi carrieristi, i preti con la doppia vita e i fedeli superstiti malati di «Alzheimer spirituale», e poi fa gli elogi di Marco Pannella, Emma Bonino, Eugenio Scalfari, fieri nemici della Chiesa.
Gran parte della contestazione anti Bergoglio corre su internet. Intellettuali e giornalisti dicono di vedere moltiplicati accessi, contatti, commenti su siti e blog, in un crescendo scandalizzato di dubbi e perplessità con toni ed epiteti che fino a qualche tempo fa sarebbero suonati fuori luogo negli scritti di tanti figli di santa madre Chiesa. È anche questa una forma di populismo? «No, è la rivolta dei laici contro il clericalismo - dice Tosatti -. Questa battaglia ha in prima fila gente che non porta la tonaca e non frequenta le curie. La consapevolezza del ruolo dei laici è un'eredità che dobbiamo a Giovanni Paolo II. Tanti pagano di persona, a partire dagli intellettuali cacciati dalle università pontificie».
Un caso recente è quello del professor Josef Seifert, autore di testi critici verso l'«Amoris laetitia», invitato dall'arcivescovo di Granada a ritirarsi dall'Accademia internazionale di filosofia della città spagnola. Oppure, per tornare nei corridoi curiali, ci s'indigna per la successione al cardinale Carlo Caffarra, uno dei quattro cardinali dei «dubia». I vescovi dell'Emilia Romagna, nella consultazione di prassi, avevano indicato il nome di monsignor Francesco Cavina, vescovo di Carpi con un passato in Segreteria di Stato.
Ma in un incontro in Vaticano a porte chiuse Cavina aveva criticato papa Francesco in sua presenza. Sei mesi dopo a Bologna è arrivato monsignor Matteo Zuppi, romano, assistente ecclesiastico della comunità di Sant'Egidio.(2. Continua)
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