Era stato uno degli ultimi atti politici del governo guidato da Paolo Gentiloni. La decisione di inviare in Niger i militari italiani doveva, nelle intenzioni del premier "bloccare il traffico di migranti". È cosa nota, infatti, che proprio dal Sahel passi la prima tratta del lungo viaggio che porta gli immigrati fino alle coste della Libia e (poi) dritti in Italia.
La reazione del Niger
Dopo l'emanazione del decreto da parte del Conisglio dei Ministri e la successiva approvazione del Parlamento, il Niger si era da subito mostrata poco collaborativa. Anzi. "Il nostro governo - avevano fatto sapere i vertici politici del Paese africano - non era stato informato dell' arrivo dei militari italiani".
Certo, dietro la decisione del governo italiano c'era un accordo firmato dai due Paesi il 26 settembre del 2017. Ma fu chiaro da subito che senza la richiesta esplicita del governo del Niger non se ne sarebbe fatto nulla. Ed è così che (probabilmente) andrà.
La missione italiana a Niamey muore dunque prima ancora di cominciare. Dovranno rientrare i 40 militari che erano già stati spediti, ospiti di una base americana, per realizzare la ricognizione prima dell'arrivo dei 120 soldati previsti per giugno. L'Esercito italiano, oltre ad addestratori e a un team sanitario, avrebbe dovuto sotenere - come spiega il Messaggeto - anche il controllo delle frontiere che, in teoria, dovrebbe essere già realizzato da Francia e Usa. Ed è prorpio sulla presenza in Niger di queste due potenze occidentali che si gioca lo scontro politico sulla fallita missione italiana. Secondo Leonardo Tricarico, ex Capo di Stato Maggiore dell' Aeronautica Militare, già Consigliere Militare del Presidente del Consiglio dei Ministri e presidente della Fondazione Icsa, "le ragioni di quanto sta accadendo risiedono nell'atteggiamento francese verosimilmente poco collaborativo". Insomma: la Francia, gelosa della presenza (quasi) esclusiva in Niger si sarebbe messa di traverso, boicottando in qualche modo l'arrivo dei soldati italiani sul suolo dello Stato africano.
Stop alla missione in Tunisia
Il fatto è che le grane per il governo di ieri (e di quello che verrà) è che anche la Tunisia ha fatto sapere che l'invio di 60 uomini italiani, nell'ambito della missione Nato, non sono né necessari né, a quanto pare, graditi. Il "supporto italiano nella costituzione di un comando di brigata (richiesto dal governo tunisino) e rafforzamento delle capacità interforze nel controllo delle frontiere e nella lotta al terrorismo" in Tunisia, dunque, rischia di essere annullata. Nonostante i cinque milioni di euro con cui era già stata finanziata.
La risposta del ministero della Difesa
Diversa però la posizione del ministero della Difesa. "In merito a quanto riportato da alcuni organi di stampa circa la sospensione della missione in Niger - si legge nel comunicato - si ribadisce quanto recentemente dichiarato pubblicamente dal Capo di Stato Maggiore della Difesa, che stanno proseguendo le attività programmate del nucleo di ricognizione per attività di collegamento e preparazione, di intesa con le Autorità nigerine, e di predisposizione all’approntamento della base italiana in Niger. Non ci sono quindi ipotesi di ritiro del personale militare italiano. La missione si svilupperà in pieno accordo con le Autorità locali. La dimensione numerica massima della missione è quella stabilita dal Parlamento, comprensiva dell’aliquota destinata al supporto logistico e sanitario, e sarà modulata in base alla situazione del teatro operativo e alle esigenze addestrative da soddisfare".
Il ministero precisa anche per quanto riguarda la missione in Tunisia: "Si tratta di una iniziativa NATO di supporto tecnico-militare verso un paese chiave per la sicurezza del fianco SUD, a cui l’Italia ha dato la propria disponibilità a partecipare, e che si svilupperà in base alla definizione dei necessari accordi tra il Paese nordafricano e l’Alleanza Atlantica".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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