John Pierpont Morgan è morto nel sonno mentre era in vacanza a Roma il 31 marzo del 1913, all'età di 75 anni. A dicembre di quello stesso anno nasceva la Federal Reserve, la banca centrale degli Stati Uniti. C'è chi dice che questi due eventi siano in qualche modo collegati. Soprattutto perché JP Morgan fu molto più potente dei presidenti della Fed. Oggi ritroviamo il colosso da lui creato, che nel 2015 ha registrato 24,4 miliardi utili, nel mezzo di molte partite importanti per il nostro Paese. Dal salvataggio di Mps, di cui peraltro la banca d'affari è stata consulente anche in passato, a quello dell'Ilva passando per la riforma costituzionale al centro del referendum del 4 dicembre.
Cosa c'entra la riforma - in casa nostra - con Jp Morgan? Ebbene, martedì scorso la Repubblica ha ospitato un confronto ravvicinato fra Salvatore Settis, archeologo e storico dell'arte, e l'ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, sostenitore della riforma costituzionale varata da Renzi. Fra le domande, Settis ha ricordato che mentre Napolitano era ancora in carica un accreditato commentatore politico, Marzio Breda, scriveva sul Corriere della Sera (1 aprile 2014) un articolo dal titolo «Da Napolitano un segnale sul percorso delle riforme». In esso, citando una nota del Quirinale, Breda scriveva che «la riforma per il capo dello Stato è importante, anzi improrogabile», e va «associata alla legge elettorale». Ricordando che a questo proposito, sarebbe bastato rileggersi uno studio diffuso da Jp Morgan il 28 maggio 2013 in cui veniva fotografata la crisi economica europea indicando nella «debolezza dei governi rispetto al Parlamento» e nelle «proteste contro ogni cambiamento» alcuni vizi congeniti del sistema italiano». La domanda di Settis è dunque: «Quell'analisi della banca americana può valere, come alcuni vorrebbero, come un argomento per riformare la Costituzione? ». Napolitano non ha risposto.
Eppure la ricetta degli americani pare calzare a pennello con la riforma voluta da Matteo Renzi (grande fan di Tony Blair, che oggi lavora proprio per Jp Morgan), e sponsorizzata dall'ex inquilino del Quirinale. Cosa suggeriva la banca d'affari? Smontare la Costituzione perché troppo socialista, asservire il Parlamento al governo, una legge elettorale bipolare. Per chi mastica la finanza, non è inusuale che le banche d'affari propongano soluzioni o forniscano scenari ideali per garantire la crescita di una società o anche di un Paese. Ma la mancata risposta di Napolitano fa rumore anche perché va ad aggiungersi ai rapporti sempre più fitti fra gli americani e Palazzo Chigi dove a luglio è stato accolto in pompa magna il numero uno mondiale di Jp Morgan, Jamie Dimon arrivato a Roma per festeggiare i cento anni di attività della banca in Italia. Incontro cui è seguito un articolo apparso sul Sunday Telegraph in merito a una soluzione studiata dalla stessa banca d'affari contattata appunto dal governo italiano per risolvere il nodo dei crediti deteriorati del Monte. In cambio di laute commissioni.
L'asse Renzi-Jp Morgan - allargato anche a Davide Serra e all'altro advisor in pista sul Monte ovvero la Mediobanca guidata da Alberto Nagel su cui il premier aveva scommesso, perdendo, nel match contro Cairo su Rcs - starebbe irritando i piani alti della Bce ma anche le altre banche d'affari concorrenti. Tanto che lo stesso pesante attacco alle riforme renziane lanciato martedì dal Financial Times (e arrivato a poche ore dall'editoriale di fuoco sulle ingerenze del governo nella vicenda senese firmato da Ferruccio de Bortoli sul Corriere) andrebbe letto in questa chiave.
Tornando alla storia di John Pierpont Morgan, in pochi sanno che nel 1902 finanziò anche la nascita dell'International Mercantile Marine Company, una compagnia di navigazione che puntava a controllare i
trasporti oceanici. La Immc possedeva anche il transatlantico Titanic. Ed è proprio il suo affondamento a segnare la strada verso il fallimento della compagnia.Anche i grandi banchieri a volte scommettono sul cavallo sbagliato.
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