Come si legge in calce sui programmi dei cineforum: «Al termine del film, seguirà dibattito». La trama della «pellicola» su cui si stanno dividendo in Inghilterra assomiglia a un thriller dove etica e libertà sessuale di genere rischiano lo scontro. Nessuna fiction, in Gran Bretagna è tutto reale. Il «ciak, si gira» lo ha ieri rilanciato la prima pagina del Mirror, dando conto di un nuovo e assai controverso fenomeno: il «genderrealignment doctor». Si tratta di medici specializzati nell'assistenza di bambini tra i 4 e gli 11 anni alle prese con un'identità sessuale ancora «indefinita». Una crisi tipica dell'età preadolescenziale che finora era sempre stata affrontata con quelle «medicine» particolari (ma efficacisime) che si chiamano buonsenso, capacità di ascolto, comprensione e sensibilità. I «dottori» di riferimento? Innanzitutto i genitori, poi gli insegnanti. Ma oggi - nell'era del dominio gender correct - in Inghilterra si è scelto di privilegiare la via della «medicalizzazione». In che modo? Bloccando artificialmente l'arrivo della pubertà, per consentire al bambino/a (che ancora non ha deciso se vuol essere maschio o femmina) un «ulteriore periodo di riflessione».
Ma cosa significa, esattamente, «bloccare artificialmente la pubertà»? «Equivale ad arrestare il ciclo mestruale o la maturità del seme - spiega il professor Clemente Sarri, esperto in andologia pediatrica e dell'adoloscenza -. Ciò che stanno facendo in Inghilterra è aberrante: far assumere in tenera età dosi di ormoni ed estrogeni per stoppare la normale evoluzione sessuale è una pratica aberrante e dalle pericolosissime controindicazioni». Ma l'equivoco nasce forse proprio dall'errata percenzione relativa al concetto di «normalità». Nel caso infatti dei 50 bambini/e che ogni settimana ricorrono nei centri specializzati del Regno Unito alla terapia-gender, è proprio la «normalità» che manca. Sia essa fisica, sia essa psicologica. Un trend in continua crescita tanto che negli ultimi sei mesi gli interventi sui bambini sessualmente in «stand by» sono stati 1.300 e si prevede che il numero raddoppierà il prossimo anno. Una «pausa» spesso sollecitata anche dai genitori dei piccoli, preoccupati dal fatto che, una volta superata la fase-chiave della pubertà, il processo di «revisione gender» possa ormai risultare irreversibile o comunque presentare difficoltà ben maggiori. Intanto alla rivoluzione gender si adegua anche l'estetica delle divise scolastiche con uniformi unisex per maschi e femmine; per non parlare della proposta di rendere facoltativa nel prossimo censimento britannico la domanda sul sesso biologico di appartenenza: motivo? Non discriminare le identità fluide». Prove tecniche di futura civiltà o passi imprevedibili in un buio etico-morale? Fatto sta che dal 2018 il Servizio sanitario inglese prevederà che medici e infermieri, a ogni appuntamento con un paziente maggiore di 16 anni, dovranno informarsi sull'orientamento sessuale (etero, gay, lesbica, bisex o altro).
Ma, nel caso dei «genderrealignment doctor», il problema riguarda «pazienti» ben più giovani. Come nel caso di «Lily», che ora si chiama però Leo. Quattro ani fa fu il primo, e la sua storia fece scalpore. Aveva 12 anni e viveva Lowstoft, cittadina del Suffolk. Non si sentiva felice ad essere una ragazza, così iniziò una cura presso la clinica Tavistock and Portman di Londra, e dopo un anno di terapia coronò il suo sogno: diventare maschio. «Mi sarei ucciso se fossi rimasto una femmina». Dopo di lui sono arrivati centinaia di «Lily» e «Leo». Che diventeranno presto migliaia.
«La Gran Bretagna fa spesso da apripista - è il commento di Luigi Ippolito, attento
analista della realtà inglese -. È già una società post-religiosa e post- razziale: sarà anche una società post-sessuale, nel senso di andare oltre la divisione binaria maschile-femminile?». Come sempre, «seguirà dibattito».
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