La rivolta delle mamme musulmane: "I nostri figli? Non nelle famiglie cristiane"

Il caso di un bimbo in adozione. I giudici: «Genitori incapaci di educarlo»

La rivolta delle mamme musulmane: "I nostri figli? Non nelle famiglie cristiane"

Il piccolo Ziad è diventato il «figlio di tutti». Un bimbo di 8 anni, egiziano, per il quale è scesa in strada un'intera città. Non solo familiari e amici della famiglia a cui Ziad è stato «sottratto», ma anche qualche mamma italiana.

«Una manifestazione mai vista a Torino, e forse unica finora nel nostro Paese», scrive La Stampa riferendo la storia di Ziad.

Ziad tre anni fa è stato allontanato dai genitori e il Tribunale per i minorenni lo ha dichiarato adottabile. Mamma e padre (accusati di «incapacità genitoriale») hanno presentato un ricorso che dovrà essere discusso a metà maggio. La comunità araba è in prima linea nella protesta: «Tanti genitori nostri connazionali hanno problemi con i figli dati in adozione a famiglie di religione cattolica. E il fenomeno sta aumentando. Ma nessuna ascolta la loro voce», dichiara Heneddy Hend, assistente famigliare.

La sua è un'accusa al nostro Paese: «La verità è che noi musulmani siamo osservati con un pregiudizio di partenza. Poi, ci sono differenze culturali, certo, difficoltà a comprendersi. Nelle nostre famiglie, come accadeva qui tempo fa, si dà uno schiaffo quando un figlio esagera. E ci sono casi in cui tanto è bastato per scatenare un disastro». Significativa la testimonianza di un'altra mamma col volto velato: «Mi hanno portato via cinque figli dopo che la bambina a scuola aveva detto a una maestra che il padre l'aveva picchiata. Gli assistenti sociali sono andati a prenderli scuola per scuola e a casa, senza dire niente. Il più piccolo aveva otto mesi, allattavo ancora. I miei figli sono fratelli e sono in cinque comunità diverse. Io non posso vederne nessuno. È giusto? Nemmeno con gli animali si fa così. La bambina oggi ha 13 anni, pesa 82 chili, non parla quasi più, è in una comunità terapeutica: si sente in colpa per quanto è accaduto. Io dico questo: in Italia c'è pubblicità per ogni cosa. Perché non pubblicizzate le vostre regole? Noi arriviamo qui e non sappiamo che facciamo cose sbagliate. L'Italia dovrebbe spiegare le sue leggi della famiglia, dovrebbe farlo in tutte le lingue degli immigrati: aiutarci a non fare errori che ci costano la vita».

Alla manifestazione c'era anche il padre di Ziad: «Dovreste obbligarci a comprendere diritti e doveri». Peccato che troppo spesso - dalla parte di molti musulmani - ci sia il rifiuto di farli propri, questi «diritti e doveri».

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