È ufficialmente morto l’albero di Natale di Roma, il più triste del mondo e preso giustamente in giro da tutto il mondo, soprannominato da noi Spelacchio e dai russi spazzolone da gabinetto. E Virginia Raggi annuncia che non si ricandiderà a sindaco. Edmondo De Amicis ne avrebbe fatto un racconto strappalacrime per il libro «Cuore».
Anche senza radici, Spelacchio sarebbe dovuto durare un mese, un mese e mezzo, come succede ovunque, invece appena arrivato nella capitale, dalle montagne del Nord, ha iniziato subito ad agonizzare. La capitale d’Italia non è più Caput Mundi da secoli, ma adesso è ufficialmente Caput Spelacchium. Segno che a Roma, oltre a non esserci speranza per gli esseri umani, non ce n’è neppure per i vegetali. C’è un biologo, Stefano Mancuso, sostenitore dell’intelligenza delle piante (un problema per i vegani, che dovrebbero rinunciare anche alle verdure, a quel punto non si sa più cosa potrebbero mangiare), se così fosse direi che Spelacchio potrebbe anche essersi suicidato, per protesta contro una città sempre più invivibile. In realtà era arrivato già mezzo secco e rachitico, deve aver cominciato a seccarsi non appena ha saputo che sarebbe venuto a Roma. Magari aveva letto Alberto Arbasino, che nel suo capolavoro, «Fratelli d’Italia», scrisse, già mezzo secolo fa: «Mai scendere più a sud di Milano».
Non è un simbolo riuscito del Natale, ma Spelacchio è un simbolo riuscito della Roma grillina, quella ambientalista, quella che si oppone al taglio degli ulivi e non sa tenere in vita un albero per la durata delle feste. A vederlo, fin da subito, metteva una malinconia che ti portava a distogliere lo sguardo, ci passavi davanti e ti veniva una depressione, sembrava un albero di Natale del Burkina Faso, perfino a Auschwitz i nazisti ne avrebbero fatto uno migliore.
D’altra parte la filosofia grillina è quella della decrescita felice, e la loro piattaforma politica si chiama Piattaforma Rousseau, da Jean-Jacques Rousseau, il filosofo del mito del buon selvaggio. Quindi forse si è trattata di una scelta intenzionale, è stato chiesto appositamente un albero che facesse schifo. Un albero di Natale anticapitalista, un albero del Terzo mondo, l’obiettivo del movimento di Beppe Grillo. Vivere senza consumismo, senza lussi, decrescere felicemente, con uno spazzolone da cesso piantato di fronte all’Altare della Patria. Tanto valeva piantarci un palo della luce. Senza luce, per carità, troppo moderna. Un altro pensiero di successo del Movimento Cinque Stelle era che se una casalinga poteva gestire la sua famiglia, poteva gestire anche il Paese.
Ma in qualsiasi famiglia fosse entrato un albero del genere, lo avrebbero rimandato indietro e chiesto un altro, soprattutto se lo hai pagato cinquantamila euro (con i soldi pubblici). Così come se ti si secca l’albero il 20 dicembre lo cambi, non te lo tieni così com’è. Invece Virginia Raggi non ci ha pensato proprio, lo ha lasciato lì, mentre agonizzava giorno dopo giorno, rendendolo immagine perfetta di una capitale dove tutto va in rovina sotto gli occhi di tutti. Per essere un sindaco ambientalista non ha proprio il pollice verde, direi che ce l’ha nero come la Morte Nera di Star Wars.
Tuttavia ora Virginia, sommersa dalle critiche, si sveglia e cade dal pero, anzi dall’abete defunto, e si rende conto che tutti stanno pensando che se non sa prendersi cura di un albero, figuriamoci di una metropoli come Roma, e cosa fa? Apre un’indagine. Ma che indagine apri? Se non ci fosse da piangere ci sarebbe solo da ridere, perché indagano su qualsiasi cosa, tranne che su loro stessi. È l’efficienza dell’inefficienza grillina: anziché trovare una soluzione o capire quanto sono impreparati, aprono inchieste sugli altri. D’altra parte Virginia vorrà trovare le prove di un complotto: qualcuno avrà tramato per uccidere l’albero.
Magari è stato avvelenato da qualche avversario politico. Magari è stato manomesso da Salvini direttamente in Trentino.
Potrebbero esserci di mezzo i servizi segreti deviati, la Cia, gli Ufo, le scie chimiche, Berlusconi, chi può dirlo? In ogni caso, le uniche cose rimaste al povero Spelacchio di un albero di Natale erano le palle attaccate. Quelle che i cittadini si sono rotti da tempo
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