Sarà difficile per il governo ignorare il pressing sul salario minimo che sta arrivando dal mondo della produzione al gran completo. La proposta del Movimento 5 Stelle di portare per legge la retribuzione lorda minima a 9 euro all'ora ha incassato dei cortesi «no grazie» dal sindacato e dei meno gentili respingimenti dal mondo delle imprese. Confindustria e Confcommercio in testa. Ieri a Milano, il presidente di viale dell'Astronomia Vincenzo Boccia ha liquidato la proposta con una battuta: «Il Paese non cresce con i salari minimi».
Contro anche l'Ocse: «Non è la soluzione al mercato del lavoro italiano ed è solo mediamente efficace contro la povertà», secondo l'economista Andrea Garnero dell'organizzazione di Parigi nel corso di un'audizione alla Camera.
Questa settimana ci sarà un vertice governativo con il ministro Luigi Di Maio, grande sponsor della proposta messa nero su bianco da un disegno di legge M5s e - confidava nei giorni scorsi una fonte leghista - ci sono possibilità che la proposta cambi. Perché i problemi sono molti.
L'obiezione che viene dal mondo delle imprese è che non è chiaro che cosa sia compreso nel calcolo dei nove euro lordi orari. In particolare se comprendano i ratei di ferie, tredicesima e Tfr.
Se così non fosse, per le imprese la legge Di Maio rappresenterebbe una stangata assicurata. La stima arriva da una simulazione del centro studi Lavoro&Welfare presieduta dall'ex ministro del Lavoro, Cesare Damiano.
In sintesi, un aumento del costo del lavoro che può arrivare al 18,8 per cento.
Effetto non tanto degli aumenti per le categorie retributive più basse, ma di una sorta di effetto domino. L'aumento degli stipendi più bassi (per i metalmeccanici il centro studi dell'esponente Pd la categoria più bassa passerebbe da 1.310 euro a 1.557 euro) potrebbe «indurre i lavoratori delle categorie più alte a rivendicare aumenti salariali tali da ripristinare le distanze parametrali originali». In sintesi, gli aumenti per i pochissimi lavoratori che si trovano sotto la soglia dei nove euro (lo 0,8% di tutte le tute blu) trascinerebbero verso l'alto le categorie retributive che si trovano subito sopra la soglia del salario minimo, molto più numerose.
La conseguenza è facile da immaginare; l'ha evocata Damiano: svuotare i contratti nazionali. In sintesi, le aziende per fare fronte all'aumento del costo del lavoro potrebbero decidere di non fare contrattazione, limitandosi ad applicare la nuova legge. A perderci sarebbero i lavoratori, visto che i contratti «rimangono lo strumento di tutela più forte per i lavoratori», ha sottolineato Luigi Sbarra della Cisl.
Welfare aziendale, servizi di ricollocamento e di formazione dei lavoratori, assicurazioni sanitarie stanno diventando una parte sempre più importante delle retribuzioni e questo modo di intendere la contrattazione ha fatto breccia in una categoria come i metalmeccanici, generalmente conservatrice.
Se il salario minimo dovesse svuotare i contratti, anche gli aumenti salariali diventerebbero più complicati.
«Una vera presa in giro per i lavoratori. L'unica risposta al boccheggiante mercato del lavoro italiano consisterebbe nell'abbassamento del cuneo fiscale», dice Mariastella Gelmini, presidente dei deputati di Forza Italia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.