Un salto spettacolare. Più lungo di quello, celeberrimo, di Bob Beamon alle olimpiadi di Città del Messico. Da presidente della Commissione giustizia della Camera, in quota Pd, a giudice di cassazione. Un record, anche per l'Italia abituata a non stupirsi di nulla. In un batter di ciglia Donatella Ferranti si sfilerà la casacca del Partito democratico, indosserà la toga prestigiosissima di Giudice supremo e scriverà sentenze in nome del popolo italiano. Altro che porte girevoli e valutazioni di opportunità.
Il Csm ha sbrogliato alla velocità della luce un caso che si annunciava delicato e scivoloso. Soprattutto, ha risparmiato al deputato uscente, non più ricandidato, tutta la difficile trafila per aspirare a un ruolo cosi importante. La Ferranti torna alla sua prima vita di magistrato: nel 1998, vent'anni fa, lasciò la procura di Viterbo, dove era pm, e approdò proprio al Csm. Qui diventò nel 2004 segretario generale, incarico ricoperto fino al 2008 quando sbarcò in parlamento. E il curriculum le è servito per conquistare nella legislatura che si chiude nei prossimi giorni la presidenza della Commissione giustizia della Camera, prima guidata da Giulia Bongiorno. Ora, dopo dieci anni a Montecitorio, rieccola in magistratura. Per carità, il pendolarismo fra giustizia e politica è un fenomeno registrato e criticato da anni. Più di una toga è stata eletta in parlamento, a destra come a sinistra. I più scrupolosi si sono dimessi, molti hanno giocato la carta dell'aspettativa, pronti a rientrare nell'ordine giudiziario dopo la parentesi parlamentare.
È la parabola della Ferranti che però ha messo il turbo, con un'accelerazione senza precedenti. In teoria avrebbe dovuto occupare una casella equivalente a quella di partenza, qualcosa di paragonabile al ruolo di pm svolto nel passato. Invece, nelle pieghe della legislazione, è saltata fuori una norma ad hoc: il segretario generale del Csm - in buona sostanza un incarico amministrativo di alto livello - viene equiparato al giudice di cassazione. Et voilà, alla quasi unanimità, col solo voto contrario del togato Aldo Morgigni di Autonomia e indipendenza, la Ferranti è stata catapultata in Cassazione. Anche se non ha mai prodotto una sentenza in vita sua.
Un premio doppio. Perché la neonominata si è risparmiata un iter difficile.
Prima l'esame da parte di una commissione di cinque membri. Poi il concorso e la sfida agli altri candidati. Per la cronaca, nella stessa seduta Palazzo dei Marescialli ha bandito una «gara», mettendo in palio 20 posti per la Suprema corte. Lei non ne avrà bisogno.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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