Recessione demografica, oltre che economica. Culle vuote. Un'Italia con sempre più anziani che vivono più a lungo e meglio. Nella fotografia annuale dell'Istat pubblicata ieri ci sono 2,2 milioni di over 85, il 3,6% del totale della popolazione residente. I «grandi anziani» italiani sono in aumento per effetto dell'incremento della vita media, scrive l'istituto di statistica, e il nostro Paese, insieme con la Francia, detiene il record europeo del numero di ultracentenari, quasi 15 mila.
Nel 2018 si stima che gli uomini possano contare su una vita media di 80,8 anni e le donne di 85,2 anni. «Nel tempo i vantaggi di sopravvivenza delle donne rispetto agli uomini si sono ridotti: il differenziale ha raggiunto 4,4 anni, quasi un anno in meno rispetto a dieci anni prima, a testimonianza dei maggiori guadagni registrati per gli uomini». Le donne però «vivono un maggior numero di anni in condizioni di salute via via più precarie; sono infatti maggiormente colpite da patologie croniche meno letali, che insorgono più precocemente e diventano progressivamente invalidanti con l'avanzare degli anni». Infatti nel 2017 un uomo può godere di buona salute in media 59,7 anni, una donna 57,8 anni.
Le culle vuote hanno prodotto però un tale calo demografico «di cui si ha memoria nella storia d'Italia solo risalendo al lontano biennio 1917-1918, un'epoca segnata dalla Grande Guerra e dai successivi drammatici effetti dell'epidemia di spagnola», ha detto il presidente dell'Istat, Gian Carlo Blangiardo. È dal 2015 che i residenti in Italia sono in diminuzione: 60,4 milioni al primo gennaio di quest'anno, oltre 400mila in meno rispetto al primo gennaio di quattro anni fa. Un «declino» che è l'effetto di 140mila bambini in meno iscritti all'anagrafe rispetto al 2008, e di 50mila decessi in più rispetto a 11 anni fa. E poi il 45% delle donne tra i 18 e 49 anni non ha ancora avuto figli, e sono circa il 5% quelle che dichiarano che averli non rientra nel loro progetto di vita.
Un quadro che «in assenza di significative misure di contrasto, potrebbe determinare ricadute negative sul potenziale di crescita economica, con impatti rilevanti sull'organizzazione dei processi produttivi e sulla struttura e la qualità del capitale umano disponibile», ha avvertito il presidente dell'istituto. Di fatto la crescita della popolazione degli ultimi vent'anni è avvenuta «unicamente grazie all'aumento della componente di origine straniera»: 5 milioni e 234mila residenti, l'8,7%.
Ma sarà il passaggio, la transizione, nell'età anziana delle generazioni del baby boom (nel 64 i nuovi nati superarono il milione), che oggi sono nella fase adulta, a determinare un deciso invecchiamento della popolazione nel futuro. Una delle conseguenze sarà «un'intensa riduzione della forza lavoro potenziale». Nel 2050, la quota dei 15-64enni potrà scendere al 54,2% del totale, dieci punti percentuali in meno di oggi. «Si tratta di oltre 6 milioni di persone in meno nella popolazione in età da lavoro. L'Italia sarebbe così tra i pochi paesi al mondo a sperimentare una così significativa riduzione».
Se gli anziani stanno meglio, ai giovani invece va peggio. Gli under 35 sono 9 milioni e 630 mila e sono in calo di oltre 1 milione e 230mila rispetto al 2008.
Più della metà, 5,5 milioni, vive con almeno un genitore ed «è sempre più raro che corrispondano scelte di vita e autonomia economica» che sarebbero proprie di questa fascia di età: «Il fatto di non poter contare su un lavoro stabile non aiuta i ragazzi a dar corso ai loro progetti di vita. Nel secondo dopoguerra si lasciava la famiglia intorno ai 25 anni.Per la generazione degli anni Settanta il distacco avveniva verso i 28». Un traguardo che ora si sposta sempre più avanti.
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