Per salvare le banche ora l'Italia rischia l'arrivo della Troika

A Bruxelles non si esclude il ricorso al fondo anti-crisi Esm, nella versione più soft usata per soccorrere la Spagna

Per salvare le banche ora l'Italia rischia l'arrivo della Troika

Roma - È lo spettro «tedesco» che si materializza nel cuore delle istituzioni europee e incombe su Roma. Proprio mentre Matteo Renzi ingaggia un duello mediatico con Angela Merkel, nelle stanze della Commissione europea qualcuno inizia a pensare a una cura da cavallo, per risolvere una volta per tutte la crisi delle banche italiane. Drastica e senza alternative, ispirata più a Wolfgang Schaeuble che alla cancelliera. Detta brutalmente, un piano di salvataggio per l'Italia. L'Esm, il fondo europeo di salvataggio che è stato attivato per Spagna, Grecia, Irlanda e Portogallo, con tutto quello che comporta. Riforme dettate dalla Troika, conti pubblici sotto controllo. Salvataggio delle banche sotto la stretta sorveglianza dell'Ue. Il precedente che calza, quello che sta tentando parte della Commissione Europea, è quello della Spagna. Nel 2012 chiese aiuto all'Europa per risolvere la crisi delle banche, alle prese con 100 miliardi di crediti incagliati. Erano coinvolti i principali istituti del Paese, a partire da Bankia. Alle fine Madrid ne utilizzò solo 41, ma il piano scattò, con tutto quello che comporta. Le risorse, per non umiliare il governo, passavano dal fondo europeo a un analogo contenitore spagnolo. Un modo per concedere un minimo di autonomia a un importante Stato membro. Il piano di salvataggio europeo prevede, di fatto, il commissariamento dei Paesi per tutte le scelte di politica economica. La versione spagnola fu più blanda di quella imposta alla Grecia. Ma fino a un certo punto. Un pezzo di Europa, in prima fila lo stesso ministro delle finanze tedesco Schaeuble, fece in modo che tutto il piano di ristrutturazione delle banche avvenisse sotto il controllo della troika, quindi Bce, Commissione e Fmi. Cosa c'entra l'Italia? Più di quanto si pensi. Proprio quando, nel 2012, scattò il piano per la Spagna in molti pensarono che di lì a poco sarebbe toccato al Belpaese. L'Italia rifiutò sostenendo che il sistema bancario era solido. Ora, con la vicenda delle quattro banche del Centro Italia, Roma conferma di volere fare da sola. Ma potrebbe non bastare. Di crediti in sofferenza nel sistema ce ne sono. I prestiti deteriorati ammontano ancora a 360 miliardi di euro, pari al 18 per cento degli impieghi totali. Nel 2008 l'incidenza era appena al 6%. Per potere continuare a prestare soldi a famiglie e imprese, le banche devono liberarsi dei crediti inesigibli, attraverso la bad bank. Ma sono esclusi aiuti di Stato. La situazione italiana - questo il ragionamento che si fa a Bruxelles - è particolarmente preoccupante, perché sono coinvolti obbligazionisti e anche perché ci sono molte piccole banche, che non sono sottoposte al controllo della Bce e che d'ora in poi potrebbero avere problemi a vendere titoli a clienti, giustamente, preoccupati. Anche in questo caso, la bad bank potrebbe servire a ridare fiducia. Ma, ancora una volta, senza fondi dello Stato, non potrebbe nemmeno dare una garanzia.Uniche risorse pubbliche che si possono usare sono appunto quelle dell'Europa. Ma sono attivabili solo con un piano di salvataggio. Difficile che il premier Matteo Renzi accetti una scelta del genere, che verrebbe interpretata dagli italiani e dai partner europei come un commissariamento.

Fino ad oggi sono solo voci di corridoio nei palazzi del governo europeo. Alcuni danno per scontata questa soluzione, un bailout con Esm. Ad esempio Lars Feld, consulente di Merkel. Non a caso, economista molto vicino a Schaeuble.

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