Gli aggettivi sono finiti e allora si presenta in conferenza stampa citando Vasco Rossi: «Oggi è una splendida giornata». Matteo Salvini va a mille: il successo lo inebria ma non gli toglie lucidità: benedice la nuova giunta Tesei, convoca riunioni, si prepara a partire per Roma e annuncia blitz in Campania e Emilia. Un fan, esagerato, si allarga chiedendogli cosa pensa dei preti sposati. Lui ridacchia e con la giusta dose di autoironia si smarca: «Adesso ci daranno un seggio pure al Sinodo e un altro all'Onu». Il bilancio della giornata è fin troppo facile: «Avevo scommesso qualche caffè che avremmo vinto con 10 punti di margine, ma abbiamo venti punti di vantaggio. Con la pressione alta non va bene, incasserò con calma». Tutti lo cercano, lui fa mostra di umiltà e dispensa pure un filo di autocritica: «Questa è una vittoria della squadra, da soli non si va da nessuna parte, mi ha chiamato Berlusconi per farmi i complimenti, insieme conquisteremo Calabria ed Emilia».
È il giorno della rivincita e in qualche modo si sana una ferita aperta con la crisi di agosto: «Non tornerei indietro per nessuna ragione, si andava avanti per ore in Consiglio dei ministri con i Di Maio, i Toninelli, i Bonafede senza concludere niente. Mai più con i signor no. E poi chi semina tradimento, raccoglie tradimento. Gli italiani lo hanno capito». Il governo traballa, lui, serafico e implacabile, inquadra nel mirino il premier Giuseppe Conte e punge anche il Quirinale: «Questo è un avviso di sfratto, la parola dimissioni non la pronunciamo perché non siamo banali, però qualcuno al Quirinale dovrebbe cominciare a porsi qualche domanda». Non basta, perché il leader della Lega affila le immagini: «La maggioranza degli italiani non è al governo in questo momento. Qualcuno a Palazzo Chigi si sentirà abusivo».
Il voto dice che la coalizione giallorossa è stata surclassata, ma c'è anche l'ipotetico conflitto di interessi tirato fuori dal Financial Times. Un'altra tegola per «Giuseppi»: «Se fosse vero, anche solo parzialmente, allora il presidente del consiglio dovrebbe dimettersi in tre minuti. Noi invitiamo Conte a venire in Parlamento a spiegare, se non lo farà glielo ricorderemo oggi stesso». Risatina diabolica. Le parole del giorno riprendono quelle scandite nella notte, davanti a una selva di microfoni. «Non lo invidio Conte - e l'ex ministro allunga un'altra stoccata - fra conflitti di interesse, interrogazioni parlamentari, Financial Times, servizi segreti...».
L'ex titolare del Viminale va avanti a tappe forzate: «Lascio Di Maio, Conte, Zingaretti e Renzi ai loro litigi. Credevano di salvarsi con quella foto disperata scattata l'ultimo giorno a Narni. Illusi. Noi siamo con gli operai di Terni, i pescatori del Trasimeno, gli agricoltori. Loro si occupino di costruire, invece di insultare Salvini e la Lega». Pausa di silenzio, poi parte un altro affondo. Rabbioso: «Zingaretti è venuto a Spoleto a darmi dell'ubriacone». L'ubriacone del Papeete, questa l'immagine coniata, in stato di ebbrezza permanente da mojito. «Io - va avanti Salvini - sto zitto e non rispondo, ma io ho la medaglia d'oro dell'Avis e un donatore di sangue certe cose non se le può permettere».
Basta con le domande, c'è tanto da fare e molti luoghi in cui correre.
Ma la grande staffetta continua: «Ho scelto Donatella Tesei non perché è una donna ma perché è brava, allo stesso modo ora ho chiamato Lucia Borgonzoni per la prossima sfida perché è la candidata giusta». Un'occhiata al calendario: «Ci vediamo il 26 gennaio a Bologna». E il vincitore di queste elezioni sparisce dentro una riunione.
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