Prima il «vertice» notturno, poi il «chiarimento», infine la «verifica» richiesta dalla Lega «su tutti i dossier», preludio forse, chissà, a una crisi e a «nuovi equilibri». C'è tutto il vetusto vocabolario della Prima Repubblica ad accompagnare il travaglio del governo del cambiamento, alle prese con i suoi giorni più difficili. Matteo Salvini, sconfitto sulla questione che gli sta più a cuore, i migranti, è nero: «I Cinque stelle - confida ai suoi - sono incomprensibili e noi stiamo cadendo in trappola. Così non si può continuare». In serata in tv da Bruno Vespa è più diplomatico: «Nonostante gli uccelli del malaugurio, andiamo avanti. Non lavoro a maggioranze diverse, però siamo nella mani del buon Dio».
È già finito l'esperimento gialloverde? In Transatlantico la domanda ricorrente non è più «se» il governo dura, ma «quanto» dura. Fino a qualche tempo fa sembrava che nulla potesse muoversi prima delle Europee di primavera, ora i contrasti sugli sbarchi e sul salvataggio delle banche e quelli prossimi venturi sulle pensioni, il reddito di cittadinanza e la Tav hanno bruscamente cambiato lo scenario. «Crisi dietro l'angolo», riferiscono fonti Lega. C'è una nuova data, 10 febbraio, giorno delle elezioni in Abruzzo, che potrebbe fare da spartiacque. E c'è pure una diversa maggioranza in vista, un centrodestra allargato. «Bastano 55 responsabili alla Camera e 17 al Senato La quota 100 ce la approviamo il giorno dopo, e senza il reddito possiamo tagliare le tasse».
Dicono a via Bellerio che, se dipendesse da lui, il ministro dell'Interno, stufo delle bizze di Di Maio e del protagonismo di Conte, farebbe saltare subito il banco per andare alle urne e incassare il dividendo delle sue battaglie popolari sulla sicurezza e l'immigrazione. Il problema è che Sergio Mattarella non ha alcuna intenzione di sciogliere ancora le Camere: il Quirinale lo ha già fatto sapere a tutte le parti in causa. E anche in caso di ribaltone, non è per niente sicuro che il capo dello Stato affiderebbe l'incarico al leader del Carroccio.
Salvini ce l'ha soprattutto con il premier. «Ci siamo chiariti - racconta a Porta a Porta , ma io pretendo rispetto». Doveva fare «l'avvocato del popolo», cioè il passacarte, e garantire entrambe le parti, invece da qualche tempo lavora soprattutto per puntellare M5s. In più, questa è l'accusa principale, si sarebbe «montato la testa», atteggiandosi a grande statista e pensando «di fare di testa sua con i suoi amichetti europei». Ma anche i grillini sono sotto tiro. «Iniziano a prendere delle posizioni incomprensibili, si stanno spostando a sinistra su tutto. Immigrazione, trivelle, Tav».
Insomma, «siamo caduti in un tranello», sostengono quasi tutti i colonnelli leghisti, da Giorgetti a Molteni, da Zaia a Fontana. E se finora il vicepremier cercava di calmare i periodici sfoghi dei suoi, adesso sembra orientato a dare retta al malcontento. «Guarda che la trappola non riguarda solo i migranti, qui ci vogliono prosciugare le nostre fonti di consenso. E in questo modo non si non si va da nessuna parte».
Brucia il fatto di essere stato scavalcato su un tema che ritiene di sua competenza, con una manovra definita «molto democristiana», condotta di sponda con Bruxelles con il via libera del Colle e realizzata mentre lui era a Varsavia. Uno schiaffo. Certo, era già successo, all'epoca del caso Diciotti che il Quirinale imponendo lo sbarco. La differenza rispetto ad allora è che qualche mese fa l'iniziativa partì da Mattarella, mentre stavolta è avvenuto tutto all'interno del governo.
Dunque ha vinto Conte, che ora camminerà sulle uova. Se non ci sarà una crisi, si aprirà comunque un periodo di alta instabilità, con bracci di ferro su ogni decisione da prendere.
E mentre quota 100 e reddito di cittadinanza slittano di una settimana, la Lega vuole prendersi le sue rivincite sulla Tav e sulle trivelle. «I nodi stanno venendo al pettine» e a Palazzo Chigi volano i piatti. Aria di divorzio, salvo «chiarimenti».
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