Salvini tira dritto: non teme intese M5s-Pd e blinda il centrodestra

Il leader del Carroccio spera che Luigino si logori: "Di Maio? Rispondo per educazione"

Salvini tira dritto: non teme intese M5s-Pd e blinda il centrodestra

Roma - «Al netto delle sceneggiate la maggioranza Salvini-Di Maio-Berlusconi c'è già». Il tweet del presidente del Pd, Matteo Orfini, sull'elezione del leghista Guiorgetti alla presidenza della commissione speciale della Camera svela la segreta speranza degli oppositori: un governo grillini-centrodestra da bombardare ogni dì. In realtà, la giornata di ieri si è aperta in modo un po' inatteso per il leader della Lega che ha incassato senza colpo ferire la bordata dell'omologo pentastellato sparata tramite intervista agli «amici» del Fatto. «Incontrare Salvini ora non avrebbe senso». Un'indicazione che ieri il capo politico degli M5s ha ripetuto più volte per stanare il suo alter ego.

«Se mi chiama rispondo, è buona educazione. Io non l'ho chiamato», ha replicato il segretario della Lega partecipando alla celebrazione del 166simo anniversario della Polizia. Attorniato dai fan entusiasti, Salvini ha avuto buon gioco a tenere fede ai propri propositi. Che si sostanziano nella formula già ampiamente utilizzata: no a incarichi al buio, no a governi che cerchino la maggioranza in Parlamento e, soprattutto, no a governi «del presidente» che riciclino un Pd ampiamente sconfitto alle elezioni. Tesi riproposta anche negli incontri pomeridiani con i gruppi parlamentari. Insomma, la decantazione tanto invocata dal presidente della Repubblica Mattarella con la sua «strategia del carciofo» non si vede ancora. Gli animi sono accesi e Salvini non ha certo intenzione di mollare. Anzi, l'aver finalmente «incassato» un premio con l'elezione del vicesegretario Giorgetti nella commissione che dovrà analizzare il Def spegne sul nascere le possibilità che i grillini possano cercare una sponda nel Pd per formare un governo del cambiamento. I piddini proprio in quello speravano per lasciarsi andare ai corteggiamenti.

Anzi, la guida della commissione ha un altro vantaggio: la possibilità di rinsaldare i rapporti con l'alleato Fratelli d'Italia. Giorgia Meloni da giorni vagheggia la possibilità di modificare la legge elettorale passando direttamente dalla commissione speciale. Al netto dei veti del capo dello Stato (che mai consentirebbe un passaggio così delicato attraverso un organo parlamentare temporaneo che serve a gestire l'ordinaria amministrazione), il fronte è ampiamente coperto anche sul versante che spinge per una nuova ordalia delle urne.

Certo, vi sono sempre delle incognite. Ad esempio, un cedimento dei dem alle lusinghe grilline: «Per noi non sarebbe neanche male andare all'opposizione con un governo M5s-Pd», fanno sapere dalla Lega. Ecco perché in vista dell'appuntamento al Quirinale di venerdì non sarà certo Salvini a fare il primo passo. Il faccia a faccia con Di Maio è, al momento, «improbabile», ma resta «possibile». Ci sarà da squadernare il vocabolario della Prima Repubblica in questa fase. Ma Matteo finora sta navigando bene. In fondo, la determinazione finora mostrata nel non spaccare la coalizione gli è valsa anche il riconoscimento del presidente dell'Europarlamento Tajani.

È ovvio che questo «teatrino» non potrà protrarsi troppo a lungo anche se fino alle elezioni regionali di Molise e Friuli Venezia Giulia è difficile che qualcosa si smuova. È una guerra di nervi: la speranza è che a logorarsi prima sia il Movimento Cinque Stelle. Difficile, però, che i grillini possano crollare prima di un Pd ormai ridotto a un coacervo di comitati elettorali.

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