Roma - Ha vinto il No. É evidente che gli italiani non avevano creduto, tra le tante, alla favoletta di una riforma costituzionale che avrebbe come d'incanto ridotto tutte le disparità di accesso ai farmaci ed alle terapie purtroppo drammaticamente presenti nelle regioni italiane. Favola raccontata dal ministro della Salute Beatrice Lorenzin e dallo stesso premier Matteo Renzi. Ora però il governo, a prescindere da chi verrà incaricato dal Presidente della Repubblica, può davvero fare qualcosa di concreto per i malati. Francesco De Lorenzo, presidente FAVO (Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia) ribadisce che la riforma appena bocciata non avrebbe minimamente inciso sulle criticità presenti in particolare in alcune regioni del Sud. Così come era stato delineato la riforma non avrebbe attribuito al governo poteri di intervento automatico sulle regioni. In sostanza non sarebbe stato possibile superare le disparità tra le aree del Paese ad esempio nella disponibilità dei trattamenti innovativi. Il ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, per sostenere il suo progetto lo illustrava mettendo insieme alla riforma l'investimento di 500 milioni di euro inserito nella Legge di Bilancio per i farmaci innovativi salvavita che con la riforma però non ha nulla a che fare. Oltretutto, spiega De Lorenzo, di questo investimento finiranno per beneficiare soltanto le regioni che hanno un sistema veloce. In Calabria dove la Commissione che deve inserire nel prontuario i nuovi farmaci si riunisce ogni anno e mezzo arriveranno comunque in ritardo e la riforma non interveniva su questo punto.
«Occorre che il governo agisca per far rispettare i Livelli essenziali di assistenza, Lea, come ha fatto per i Piani di rientro: con il commissariamento -afferma De Lorenzo- Deve varare una legge che permetta all'esecutivo di intervenire in modo automatico con il commissariamento nelle regioni che non riescono a garantire i Lea ovvero una assistenza uguale per tutti i cittadini italiani».
E le disparità sono enormi. La Favo ha denunciato più volte come sia diverso ammalarsi di cancro in Lombardia rispetto alla Calabria. I pazienti oncologici devono infatti aspettare 427 giorni in Italia (contro 364 in Francia, 109 nel Regno Unito e 80 in Germania) per accedere ai trattamenti innovativi, con preoccupanti differenze regionali. I tempi di attesa tra l'approvazione del farmaco e l'inserimento nel prontuario sono di media 100 giorni, ma si passa da un massimo di 170 in Calabria a un minimo di 40 in Umbria.
Favo da tempo denuncia anche la mancata realizzazione della rete per la terapia del dolore e le cure domiciliari. Sul territorio italiano vengono infatti attivate solo per il 48,1 per cento dei pazienti al momento delle dimissioni, mentre per il restante 51,9 provvedono i familiari.
Ecco perché a volte i malati
terminali di cancro muoiono in ospedale nei reparti per acuti come conferma il drammatico caso di cronaca denunciato dai familiari nell'ottobre scorso quando un anziano in fase terminale morì al Pronto Soccorso del San Camillo.
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