M alattie infettive, problemi cardio respiratori, gravidanze, lesioni, bruciature da carburante (del barcone). E poi le altre ferite psicologiche, invisibili ai macchinari ma che perseguitano l'anima. Un'emergenza nell'emergenza, l'assistenza sanitaria ai migranti che sbarcano sulle nostre coste. Nel 2016 ne sono arrivati 180mila, stremati e in condizioni psicofisiche precarie, altri 50mila solo da gennaio a oggi. Un esercito di bisognosi a cui devono far fronte le Regioni e le aziende sanitarie locali che si trovano in prima linea nell'accoglienza. Non c'è solo il personale impiegato nei porti di sbarco (da Messina a Taranto), per gli screening di rito e l'assistenza igienico sanitaria primaria. C'è anche tutta la macchina delle aziende ospedaliere dei territori a muoversi sulla seconda linea, quando il soccorso base non basta ma sono necessarie cure più complesse: profilassi, ricoveri per infezioni e parti, prestazioni diagnostiche, radiografie, prelievi ematici. Interventi che richiedono una spesa cresciuta negli ultimi anni fino a diventare un macigno sulle spalle delle Regioni. Che dovrebbero essere rimborsate dallo Stato tramite le prefetture, ma a causa dell'esplosione del fenomeno migratorio e di stanziamenti sempre al di sotto dei reali fabbisogni, il conto a oggi non è ancora saldato. Anzi, secondo dati ricavati dai bilanci delle singole amministrazioni il credito nei confronti dello Stato supera cento milioni di euro.
Prefetture e Regioni sono state chiamate a inviare entro il 30 aprile al ministero della Salute, (a cui dal 2017 tocca provvedere alla gestione del debito pregresso, prima in capo al Viminale) tutti i costi sostenuti. Il Giornale ha fatto richiesta della somma comunicata, senza però ricevere risposta. Tuttavia dalle cifre ricavate dagli assessorati e dai previsionali delle Regioni più esposte all'emergenza migranti, è possibile stimare un quadro debitorio che supera appunto i cento milioni. In cui non sono calcolate le spese dell'anno in corso. Certo è che per coprire il buco finanziario delle asl non basteranno gli 89 milioni di euro che il ministero ha previsto per il 2017 alla voce «rimborso per le spese degli enti del servizio sanitario regionale per l'assistenza e le rette di spedalità agli stranieri bisognosi». Basti pensare che solo la Lombardia, dove a oggi è distribuito il 13% dei richiedenti asilo, ha accumulato un «passivo» di 80 milioni di euro (un anno fa era di 120 milioni). Il bilancio della Campania conta 35 milioni di euro di residui passivi riferiti a «quote del finanziamento statale della spesa sanitaria per gli stranieri irregolari» e ha una previsione di spesa per il 2017 di 4,8 milioni. In Toscana, il totale dei crediti che le asl vantano sulle prefetture è di 12 milioni, di cui 3 per il periodo da gennaio a settembre 2016. La Calabria, con il porto di Vibo Valentia che sta ricevendo 3.600 persone da gennaio, deve ancora avere i 2 milioni e 674mila euro sborsati nel 2015 dalle sue 5 aziende ospedaliere (stesso trend nel 2016). La Puglia, coinvolta con il porto di Taranto, nell'anno trascorso ha finanziato l'assistenza agli irregolari con 5,5 milioni. E poi l'approdo per eccellenza del Mediterraneo, la Sicilia. Nei suoi porti di Augusta, Catania, Pozzallo, Palermo, Messina, sono giunte oltre 30mila persone da gennaio a oggi. Nel 2016 ha conteggiato un residuo passivo di 6 milioni di euro spesi per cure sanitarie. Ma i conti sono in rosso anche in regioni come il Veneto, che accoglie l'8% dei richiedenti asilo: tra maggio 2015 e novembre 2016 ha effettuato 19mila visite e 25mila vaccinazioni spendendo 3 milioni di euro. La Sardegna, «dogana sanitaria» come la Sicilia, ha impiegato nel 2016 185mila euro per il personale medico dedicato ai migranti, a fronte di oltre 9mila arrivi.
Alle asl dell'isola le cure costano in media 43 euro al giorno a migrante, a cui vanno aggiunti 27 euro per la diagnostica specialistica (radiologia e altri esami). Tutto in conto allo Stato, che però tarda a saldare. E i migranti continuano a sbarcare.
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